Diritto di critica politica: quando il giudizio negativo integra il reato di diffamazione

24.07.2024

Cass. Pen. Sez. V 26 aprile 2024, n. 17326

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Con sentenza del 26 aprile 2024, n. 17326, la Quinta Sezione penale della Corte di cassazione ha affrontato un caso concernente il diritto di critica politica, verificando se le affermazioni dell'imputato contenenti espressioni di segno negativo potessero essere considerate scriminate o meno dalla causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di cui all'art. 51 c.p.

In particolare, il caso sottoposto all'attenzione del giudice di legittimità concerneva la possibile rilevanza penale delle dichiarazioni dell'imputato, all'epoca consigliere comunale, trasmesse da costui in un modulo di comunicazione per le osservazioni messo a disposizione dei cittadini. Più nel dettaglio, costui asseriva l'esistenza di legami tra il Comune e associazioni di stampo mafioso per la delibera di approvazione di adesione del Consiglio comunale ad una società in house providing avente ad oggetto la gestione dei rifiuti.

Nella sentenza di primo grado il giudice di merito aveva assolto l'imputato, ritenendo integrata la scriminante dell'esercizio di diritto di critica politica e non configurato il delitto di diffamazione aggravato.

Di diverso avviso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno, il quale sosteneva che le osservazioni dell'imputato sarebbero state prive di alcun aggancio alla realtà dei fatti e, pertanto, si sarebbero sostanziate nella immotivata equiparazione della scelta politica all'affiliazione a clan mafiosi.

Con la sentenza in esame, il giudice delle leggi ha condiviso la ricostruzione sostenuta dal ricorrente.

In particolare, la Suprema Corte ha dapprima fissato alcuni principi generalmente valevoli per il reato di diffamazione: le propalazioni offensive devono essere rivolte a più persone; tale elemento è da considerarsi sussistente anche qualora il documento e le affermazioni ivi contenute, pur essendo destinate a un unico soggetto, siano accessibili a più persone.

Richiamando un proprio precedente, la Quinta Sezione ha precisato che l'elemento della pubblicità sussiste quando, come nel caso in esame, la comunicazione sia destinata a un indirizzo istituzionale.

Preso atto della tipicità del fatto di reato considerato dall'art. 595 c.p., si è posto il successivo problema relativo alla possibilità di applicare l'art. 51 c.p. e, perciò, considerare priva di antigiuridicità penale la condotta contestata.

Sul punto, la sentenza in esame ha affermato il principio di diritto secondo il quale "costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in attacco personale".

Possono pertanto essere espressi giudizi negativi da parte di politici, purché si faccia riferimento a fatti veri (almeno sul piano putativo), di interesse per il pubblico, e che si rispetti il limite della continenza. Nel caso di critica politica, in particolare, quest'ultimo elemento presuppone che le affermazioni non trasmodino in un attacco personale, per quanto le condotte realizzate – in ipotesi – dal politico siano biasimevoli.

Alla luce delle precedenti considerazioni, la Quinta Sezione ha annullato la sentenza di merito poiché le affermazioni dell'imputato, da un lato, difettavano della indicazione di elementi specifici e, dall'altro lato, avevano trasceso ogni limite di continenza espressiva.

Dott. Marco Misiti