
Quando la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale apre all’assistenza al suicidio: requisiti giuridici e chiarimenti costituzionali.
A cura di Avv. Beatrice Donati
Il requisito della "dipendenza da trattamenti di sostegno vitale" rappresenta uno dei presupposti fondamentali per l'accesso alla procedura di assistenza al suicidio medicalmente assistito, così come delineato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n. 242/2019 e ulteriormente chiarito dalla sentenza n. 135/2024.
Questo articolo analizza il significato giuridico e clinico del concetto di dipendenza, evidenziando i criteri valutativi richiesti, le implicazioni pratiche per i pazienti e le autorità sanitarie coinvolte, nonché i procedimenti da seguire. Viene infine sottolineata la centralità delle perizie mediche interdisciplinari nella verifica dei requisiti.
Il tema della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale ha assunto particolare rilevanza nel contesto giuridico italiano a seguito degli sviluppi normativi e giurisprudenziali relativi all'assistenza al suicidio.
In particolare, la Corte Costituzionale ha avuto un ruolo determinante nel delineare i confini della legittimità costituzionale del divieto assoluto di aiuto al suicidio previsto dall'art. 580 del codice penale, dichiarandolo parzialmente incostituzionale con la sentenza n. 242 del 2019.[1]
Tale sentenza ha stabilito che non è punibile chi agevola l'esecuzione del suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, a condizione che siano rispettate specifiche garanzie procedimentali.[2]
Il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale costituisce, quindi, uno dei quattro presupposti cumulativi che devono essere verificati per consentire l'accesso alla procedura senza incorrere in responsabilità penale.
Per avere accesso alla pratica, infatti, occorre che la patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il soggetto reputa intollerabili, che lo stesso sia mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali, sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, e che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 135 dell'1/07/2024[3], ha offerto importanti chiarimenti interpretativi sul significato di "dipendenza", rispondendo alla questione sollevata da una Corte d'assise chiamata a pronunciarsi su un caso di presunta non punibilità per aiuto al suicidio.
In tale contesto, la nozione di dipendenza non è stata ancorata rigidamente all'uso di macchinari meccanici o dispositivi invasivi (come i ventilatori automatici o le macchine per la nutrizione artificiale), ma è stata interpretata in senso funzionale.
Secondo la Corte, deve considerarsi "dipendente da trattamenti di sostegno vitale" anche chi si mantiene in vita in virtù di terapie farmacologiche continue, laddove l'interruzione dei farmaci determinerebbe nel breve termine la morte del paziente.[4] Tale interpretazione è coerente con l'obiettivo di garantire il diritto all'autodeterminazione terapeutica, evitando letture restrittive che svuoterebbero di contenuto il principio di dignità della persona malata.[5]
In pratica, la valutazione della sussistenza del requisito viene effettuata caso per caso, sulla base di una perizia medica multidisciplinare, che solitamente coinvolge un'équipe composta da almeno un medico rianimatore, uno specialista nella patologia di cui è affetto il paziente e uno psichiatra. Il compito dei professionisti è accertare se l'esistenza della persona sia, nel concreto, resa possibile da un trattamento sanitario continuativo, la cui sospensione determinerebbe la morte nel breve periodo.
Si tratta dunque di un accertamento di natura tecnico-scientifica, il cui esito può variare a seconda della patologia, della risposta individuale alle terapie e delle condizioni cliniche generali del paziente.
A titolo esemplificativo, nella prassi si considera solitamente "dipendente" da trattamento di sostegno vitale il paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) in fase avanzata, che necessita di ventilazione meccanica e nutrizione enterale per sopravvivere. Tuttavia, secondo le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, anche una persona affetta da una grave patologia autoimmunitaria o oncologica in fase terminale, che dipende dalla somministrazione quotidiana di farmaci salvavita (come immunosoppressori o oppiacei ad alto dosaggio), può rientrare nella definizione, se vi è un nesso causale diretto tra il trattamento e la possibilità di permanenza in vita.[6]
L'accertamento di tale requisito avviene generalmente nel contesto del procedimento previsto dalle raccomandazioni del Comitato nazionale per la bioetica e dalle indicazioni del Comitato etico territorialmente competente.[7]
Il paziente che ritenga di possedere i requisiti stabiliti dalla sentenza n. 242/2019 può rivolgersi all'azienda sanitaria locale, chiedendo che venga avviato il percorso di verifica multidisciplinare. Nella maggior parte dei casi, l'ASL nomina l'équipe medica per la valutazione delle condizioni cliniche, raccoglie la documentazione sanitaria, effettua i colloqui previsti per l'accertamento della capacità di autodeterminazione e sottopone le risultanze al Comitato etico.
Il Comitato è chiamato ad esprimere un parere motivato sulla sussistenza dei presupposti richiesti, con particolare attenzione alla dipendenza da trattamenti salvavita. Sebbene non vi sia, allo stato, una norma legislativa che disciplini in modo puntuale le modalità procedurali, le regioni si sono dotate di protocolli interni per assicurare la corretta applicazione del diritto, secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale.[8] In assenza di una risposta entro un termine ragionevole o in caso di diniego non motivato, il paziente può adire il giudice ordinario per ottenere l'autorizzazione a procedere, come accaduto in più casi di rilievo.
È opportuno evidenziare che la Corte Costituzionale ha sottolineato, nella sentenza n. 135/2024, come l'accertamento della dipendenza debba essere compiuto con un approccio sostanziale, evitando automatismi o formalismi.[9] La vita della persona può essere considerata mantenuta da un trattamento anche in assenza di dispositivi tecnici visibili o permanenti. L'elemento centrale, secondo la Corte, è l'essenzialità del trattamento al mantenimento in vita nel breve termine. Ciò amplia il perimetro applicativo della pronuncia del 2019, rendendo il diritto accessibile anche a pazienti la cui condizione, pur non tecnologicamente assistita, è ugualmente dominata dalla necessità di cure salvavita.
Un esempio concreto può chiarire l'applicazione di tali criteri. Si consideri un paziente oncologico terminale, affetto da metastasi polmonari e cerebrali, che riceve quotidianamente un trattamento palliativo con farmaci oppiacei a rilascio controllato e corticosteroidi ad alte dosi. In assenza della terapia, la compromissione respiratoria e neurologica determinerebbe un aggravamento rapido e il decesso in pochi giorni. In tale ipotesi, secondo i criteri stabiliti dalla Corte, la dipendenza da trattamenti salvavita può considerarsi sussistente, poiché è solo grazie al trattamento che la sopravvivenza è prolungata.[10]
In termini procedurali, il paziente che intenda accedere alla procedura di assistenza al suicidio deve presentare un'istanza scritta alla struttura sanitaria di riferimento, allegando la documentazione clinica aggiornata. L'équipe medica provvede alla redazione di una relazione tecnica e il Comitato etico, nella maggior parte delle regioni, ha circa 30 giorni per rendere il proprio parere.
In caso di parere favorevole, il paziente può scegliere di procedere secondo modalità farmacologicamente controllate, anche in ambiente domestico, con la supervisione di personale sanitario, se richiesto. Il sistema sanitario non è obbligato a fornire il farmaco, ma deve garantire l'accesso alla procedura, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza ordinaria.[11]
Infine, è opportuno sottolineare che la sussistenza della dipendenza non determina automaticamente il diritto alla procedura: essa rappresenta solo uno dei quattro presupposti, che devono tutti coesistere. Il mancato accertamento anche di uno solo dei requisiti esclude la possibilità di accesso alla pratica senza conseguenze penali per chi presta aiuto. Per questo motivo, la perizia medica assume una funzione decisiva, pertanto, deve essere dettagliata, aggiornata e fondata su un'analisi individualizzata delle condizioni del paziente. La mancanza di elementi chiari nella relazione peritale è spesso causa di rigetto o di contenziosi.
La nozione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, ai fini dell'accesso alla procedura di suicidio medicalmente assistito, è stata oggetto di un'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a una definizione non formalistica, ma sostanziale.
La Corte Costituzionale ha chiarito che il trattamento può consistere anche in terapie farmacologiche, laddove essenziali alla sopravvivenza nel breve termine. Il percorso di verifica è demandato alle strutture sanitarie territoriali e si fonda su valutazioni cliniche multidisciplinari e su un parere del Comitato etico. In questo contesto, è fondamentale che la perizia sia redatta con rigore metodologico, al fine di accertare in modo oggettivo la sussistenza del requisito. La centralità dell'elemento clinico e la necessità di garantire la dignità e l'autonomia del paziente richiedono un approccio attento e non burocratico.
[1] Corte cost., sent. 242/2019, punto 14 del Considerato in diritto.
[2] Ivi.
[3] Corte cost., sent. 135/2024, punti 1 e 5.
[4] Ivi, punto 5.3.
[5] Corte cost., sent. 242/2019, punto 12; v. anche Corte cost., sent. 84/2022, in tema di dignità della persona.
[6] Corte cost., sent. 135/2024, punto 5.3.
[7] Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, Parere su "Assistenza al suicidio e ruolo del Comitato etico", 2020.
[8] Corte cost., sent. 242/2019, punto 14.3; v. anche Regolamento Regione Toscana, DGR n. 635/2022.
[9] Corte cost., sent. 135/2024, punto 5.4.
[10] Ivi, punto 6.
[11] Trib. Milano, ord. 9 marzo 2022, in tema di obblighi informativi e garanzie di accesso alla procedura.