Il diritto alla disconnessione all’epoca dello smart working

07.11.2022

Nelle ultime notizie apparse sui giornali si è ventilata l'ipotesi di un ritorno allo smart working causato dalla crisi energetica a dal relativo aumento del costo a carico delle aziende.

La L. 81/2017 disciplina anche le forme di lavoro agile o flessibile, prevedendo anche una disciplina del cosiddetto "diritto alla disconnessione", seppure ancora dai contorni un po' sfumati.
Lo smart working è un istituto giuridico che postula la possibilità per il dipendente di prestare la propria opera anche al di fuori dell'azienda, senza vincoli di orario ma con la definizione di obiettivi oggettivi e misurabili da portare a termine.

La legge sul lavoro agile (l. 81/2017) chiarisce che il lavoratore è tendenzialmente libero di stabilire in autonomia i tempi di lavoro, pur all'interno della durata massima ordinaria dell'orario di lavoro. 

Raggiunto questo limite, anche il lavoratore "agile" ha il diritto di rendersi irreperibile. 

Lo stabilisce il secondo periodo del comma 1 dell'art. 19 della legge 81/2017, che però rinvia alla contrattazione individuale con il lavoratore per i contenuti specifici: "L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro." 

Esistono poi i contratti stipulati con le parti rappresentative a livello locale sul tema del lavoro agile, mentre ancora è forse troppo presto per avere una giurisprudenza consolidata.

Ciò che emerge immediatamente nell'analisi giuridica della norma è che il legislatore non si è riferito alla disconnessione come diritto. 

L'istituto deve essere analizzato alla luce del complesso normativo del lavoro agile, da intendersi come nuovo modello organizzativo che deve conciliare le esigenze di vita-lavoro del dipendente e favorire la competitività della parte datoriale. 

È in base a questi criteri che si deve determinare il contenuto della disconnessione come diritto-dovere. Per alcuni tale espressione non sarebbe altro che il "sostituto" tecnologico del riposo lavorativo obbligatorio: il giorno di riposo o l'orario minimo intercorrente fra due turni di lavoro, anche se questa interpretazione sembra troppo ancorata a una concezione del lavoro troppo analogica.

Si può aggiungere, però, che il tema non è sconosciuto negli altri stati europei con statuizioni simili in Francia, Spagna e Portogallo. 
Il Parlamento europeo si è espresso sul diritto alla disconnessione come diritto fondamentale del lavoratore in una Risoluzione del gennaio 2021, in attesa di una possibile proposta di direttiva da parte della Commissione Europea. 
E, infatti, si è espresso apertamente e con coraggio in tal senso nel considerando C del testo nel quale si sottolinea che: «un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del "sempre connesso", "sempre online" o "costantemente in guardia" che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell'orario di lavoro e l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne [....]; che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e valori fondamentali dell'Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e le condizioni di lavoro».
Il Parlamento Europeo, anche al successivo considerando H, colloca espressamente il diritto di disconnessione nel novero dei diritti fondamentali che costituiscono «una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro e dell'era digitale».

Il rischio per il datore di lavoro che non garantisca il diritto alla disconnessione è di incappare in possibili azioni risarcitorie da parte dei dipendenti. 

L'impossibilità di determinare una linea netta di separazione fra orario dedicato al lavoro e vita personale è ormai provato che comporta un aggravio di stress a carico del lavoratore che può sfociare anche in situazioni patologiche con conseguente violazione dell'art 2087 c.c. oppure, nei casi meno gravi, nella richiesta di un'indennità aggiuntiva che sia remunerativa delle ore supplementari di reperibilità. 

Dott.ssa Camilla Ragazzi

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