Il rapporto tra l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’estorsione e il concorso del terzo nel reato
Cass. SU, n. 29541/20 e Cass. n. 46097/23
Il reato di estorsione, ex art. 629 c.p., rientra tra i delitti contro il patrimonio, è un reato comune, di evento e a dolo generico, che incrimina chiunque, costringendo taluno a fare od omettere qualcosa con violenza o minaccia, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ex art. 393 c.p., invece, è un delitto contro l'amministrazione della giustizia, proprio, di mera condotta e a dolo specifico, che punisce chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto e potendo ricorrere a giudice si fa arbitrariamente ragione da sé, usando violenza o minaccia alle persone.
L'art. 393 c.p. è accomunato al delitto di estorsione, di cui all'art. 629 c.p., dalle modalità violente o minacciose della condotta; tuttavia, si distingue dal secondo per la natura di reato proprio, a dolo specifico e di mera condotta.
I rapporti tra i due reati sollevano due importanti questioni, ossia l'individuazione del criterio discretivo tra di essi – nell'elemento oggettivo o in quello soggettivo – e la qualificazione del reato di cui all'art. 393 c.p. alla stregua di reato proprio esclusivo o non esclusivo, che a propria volta si collega al tema del concorso dell'extraneus nel reato proprio.
Riguardo la prima delle due questioni suddette (l'individuazione del criterio discretivo tra gli artt. 393 e 629 c.p.) si sono sviluppati due diversi orientamenti.
Il primo, l'orientamento oggettivista, di cui è espressione la pronuncia della Cassazione n. 35563/19, ritiene che il criterio discretivo tra le due norme andrebbe rinvenuto nelle modalità della condotta; dunque, più la condotta è violenta o minacciosa, più è facile che si integri l'art. 629 c.p.
Il secondo, l'orientamento soggettivista, di cui è espressione la sentenza della Cassazione n. 51433/13, rileva che il discrimine tra le due suddette disposizioni andrebbe rinvenuto nell'atteggiamento soggettivo dell'agente.
Riguardo, invece, la seconda delle due questioni (qualificazione del reato di cui all'art. 393 c.p. alla stregua di reato proprio esclusivo o non esclusivo + concorso dell'extraneus nel reato proprio), è intervenuta la Cass. SU n. 29541/20, la quale ha affermato i seguenti principi di diritto: "I reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno natura di reato proprio non esclusivo"; "il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie"; "il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore senza perseguire alcuna diversa e ulteriore finalità".
Recentemente, per cercare di fare chiarezza riguardo il rapporto tra le norme in esame, è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza n. 46097 del 15.11.23.
In particolare, tale pronuncia riguarda due imputati, i quali sono stati condannati per concorso in estorsione aggravata per avere, su mandato della proprietaria, con violenza o minaccia, costretto i conduttori di un appartamento a lasciarlo libero.
Per sussumere il fatto nell'art. 629 c.p. la Corte di Appello ha ravvisato l'elemento dell'ingiusto profitto nella presunta retribuzione (€ 5.000,00) o comunque nella successiva possibilità, promessa dalla proprietaria dell'immobile, di avere un mandato a vendere l'immobile una volta liberato.
Né del pagamento, né dell'effettivo conferimento di siffatto mandato a vendere è stata raggiunta la prova in giudizio; dunque, l'ingiusto profitto richiesto per la configurazione del reato di estorsione non si è mai realizzato. Per questa ragione viene proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, evidenziando che, se è vero che il Giudice di legittimità ha individuato il criterio discretivo tra i reati in questione nell'atteggiamento psicologico dell'agente, tuttavia non è sufficiente l'esame del movente di costui, essendo necessario il conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno, elementi costitutivi del delitto di estorsione mancanti nella fattispecie di cui all'art. 393 c.p.
In ragione di ciò la Corte enuncia i seguenti principi di diritto: "In caso di concorso del terzo nel delitto di cui all'art. 393 c.p., l'interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell'art. 629 c.p. deve essere individuato in un ingiusto profitto con altrui danni senza che rilievo assuma il movente dell'azione criminosa" + "ai sensi della disciplina dettata dagli artt. 47 e 48 c.p. ove il terzo esecutore abbia posto in essere l'azione incriminata sulla base della falsa materiale rappresentazione della realtà determinata dall'inganno perpetrato dal creditore o dal titolare del diritto, del reato più grave, l'estorsione, risponde l'istigatore autore dell'inganno (ex art. 48 c.p.) e del fatto meno grave, l'esercizio arbitrario, risponde l'esecutore materiale ex art. 47 comma 2 c.p.".
Alla luce di quanto detto, la Cassazione ha chiarito quanto segue:
- il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio non esclusivo;
- il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico;
- in caso di concorso del terzo nel delitto di cui all'art. 393 c.p., l'interesse proprio del terzo che vale a determinare la più grave qualificazione giuridica ai sensi dell'art. 629 c.p. deve essere individuato in un ingiusto profitto con altrui danni senza che rilievo assuma il movente dell'azione criminosa.