Evasione e applicabilità dell’art. 385, comma 3, c.p. all’indagato in arresti domiciliari

10.10.2025

C. Cost., 16 luglio 2025, n. 107 

Massima: È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 385, comma 3, c.p., sollevata in riferimento all'art. 25 Cost., nella parte in cui – secondo il diritto vivente – si applica anche all'indagato che evade dagli arresti domiciliari. Il termine "imputato", utilizzato dal legislatore del 1982, ricomprendeva anche la persona indiziata di reato nella fase preliminare; la successiva distinzione introdotta dal codice di procedura penale del 1988 non ha modificato la portata sostanziale della norma. Non sussiste, pertanto, alcuna analogia in malam partem, dovendosi ritenere punibile l'indagato che si allontana arbitrariamente dal luogo degli arresti domiciliari.

A cura di Dott.ssa Camilla Carlotti

La sentenza n. 107/2025[1] affronta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 385, terzo comma, c.p., nella parte in cui – secondo il diritto vivente – si applica anche all'"indagato" che evade dagli arresti domiciliari. La norma, infatti, menziona soltanto l'"imputato".

Il caso trae origine da un procedimento in cui l'imputato era stato arrestato in flagranza e posto agli arresti domiciliari in attesa di convalida. 

Al momento dell'allontanamento dalla propria abitazione, l'azione penale non era ancora stata esercitata: la sua qualifica processuale era dunque quella di indagato.

Il Tribunale di Pisa ha sollevato dubbi di costituzionalità, ritenendo che includere l'indagato tra i soggetti punibili configurerebbe un'interpretazione analogica in malam partem, vietata dall'art. 25 Cost., poiché le due figure sono oggi distinte e definite dal codice di procedura penale vigente.

L'Avvocatura dello Stato, invece, ha evidenziato che l'art. 61, comma 2, c.p.p. estende ogni disposizione riferita all'imputato anche alla persona sottoposta a indagini, salvo diversa previsione; inoltre, il termine "imputato" nel comma 3 dell'art. 385 c.p. va interpretato alla luce del contesto del 1982, quando la disposizione fu introdotta nella forma attuale e il codice di rito del 1930 non conosceva la figura dell'indagato. Escludere oggi l'indagato creerebbe un vuoto di tutela, punendo la medesima condotta solo dopo l'esercizio dell'azione penale.

La Corte costituzionale ha accolto questa ricostruzione storica rilevando che, nel 1982, "imputato" indicava qualsiasi soggetto indiziato di reato, anche nella fase preliminare, e che la distinzione tra indagato e imputato è stata introdotta solo con il c.p.p. del 1988, senza mutare la portata sostanziale della norma. L'inclusione dell'indagato non costituisce quindi analogia vietata, ma applicazione conforme al significato originario del termine.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 385, terzo comma, del Codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Pisa, sezione penale, in composizione monocratica, affermando che l'art. 385, comma 3, c.p. – così interpretato – non viola il principio di legalità né quello di tassatività e determinatezza.

In definitiva, l'indagato che evade dagli arresti domiciliari è punibile, in coerenza con la volontà originaria del legislatore e con l'orientamento consolidato della giurisprudenza, garantendo uniformità applicativa su tutto il territorio nazionale.


[1] Sent. C. Cost. n. 107 - depositata il 15/07/2025 e pubblicata in G. U. il 16/07/2025.