Natura, forma e tassazione del contratto di cessione di cubatura

12.11.2022

Cass. SSUU, 9 Giugno 2021, n. 16080

Con la sentenza n. 16080 del 9 giugno 2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno messo fine ad un lunghissimo contrasto giurisprudenziale in merito alla natura del contratto di cessione di cubatura e, di conseguenza, in ordine alla forma in cui esso deve essere stipulato, al regime di pubblicità cui è sottoposto ed alle imposizioni fiscali cui soggiace.

Preliminarmente, occorre ricordare che il contratto di cessione di cubatura consiste nell'accordo con cui il proprietario di un terreno (cd. "fondo di decollo") distacca da quest'ultimo la facoltà di costruire - ovviamente nei limiti della volumetria consentita dal piano regolatore - e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di un altro fondo, non necessariamente confinante ma sito in area urbanisticamente omogenea (detto "fondo di atterraggio"), risultandone l'inedificabilità (o minore edificabilità) del primo e l'edificabilità maggiorata per il secondo.

A tale scopo, il cedente si obbliga a non richiedere al Comune il rilascio di titoli edilizi per l'uso della volumetria trasferita (cd. atto di asservimento o atto d'obbligo) e si impegna a prestare al Comune, se richiesto, il proprio consenso al rilascio in favore del cessionario del permesso di costruire "aumentato" della cubatura ceduta.

Inoltre, l'efficacia del contratto viene normalmente assoggettata alla condizione sospensiva dell'avvenuto rilascio del titolo edilizio maggiorato o, a seconda dei casi, alla condizione risolutiva del suo mancato rilascio.

Le peculiari caratteristiche del contratto in esame, in cui convivono componenti marcatamente privatistiche (l'accordo tra le parti, l'asservimento, il vincolo di inedificabilità) e pubblicistiche (il provvedimento amministrativo condizionante l'intera operazione negoziale), la sua enorme diffusione nella prassi negoziale e l'assenza ciononostante di una disciplina normativa organica, hanno dato origine ad un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento di stampo privatistico - maggioritario nella giurisprudenza tributaria e nella prassi notarile - la cessione di volumetria avrebbe ad oggetto l'immediato trasferimento di un diritto reale, o la sua costituzione ex novo in capo all'avente causa; diritto che taluni qualificano come una servitù atipica, altri invece come un diritto di superficie atipico.

L'effetto traslativo della cubatura discenderebbe quindi direttamente dalla volontà negoziale delle parti, com'è previsto ex art. 1376 c.c. per tutti i contratti ad effetti reali, mentre il rilascio al cessionario del titolo edilizio (incrementato dei volumi ceduti) sarebbe soltanto una condizione di efficacia del contratto.

Secondo un diverso orientamento di matrice pubblicistica - prevalente nella giurisprudenza amministrativa - il contratto di cessione avrebbe invece effetti obbligatori, vincolando il cedente a non sviluppare la volumetria ceduta sul proprio fondo e ad acconsentire al rilascio del permesso di costruire "maggiorato" sul fondo del cessionario. 

In questa prospettiva, sarebbe il titolo edilizio rilasciato dal Comune - oltretutto discrezionalmente - a produrre l'effetto traslativo della cubatura ceduta, sicché oggetto del contratto non sarebbe un diritto perfetto ma l'interesse legittimo pretensivo all'ottenimento del provvedimento amministrativo.

L'adesione all'una o all'altra tesi ha, evidentemente, pesanti ricadute pratiche.

Nel primo caso, infatti, il contratto richiederebbe la forma scritta a pena di nullità ai sensi dell'art. 1350 c.c., potrebbe e dovrebbe essere trascritto nei registri immobiliari per essere opponibile ai terzi e andrebbe soggetto all'imposta di registro nella misura prevista all'art. 1 della Tariffa per i negozi costitutivi o traslativi dei diritti reali (8%), nonché alle imposte ipotecaria e catastale in misura percentuale.

Nel secondo caso, invece, il contratto avrebbe forma libera, sarebbe soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale con l'aliquota prevista per gli atti "diversi" dall'art. 9 della Tariffa (3%) e non necessiterebbe di essere trascritto nei registri immobiliari con effetti di pubblicità dichiarativa.

Quanto a quest'ultimo aspetto, occorre ricordare che, in verità, il D.L. 70/2011 ha introdotto all'art. 2643 c.c. il nuovo n. 2 bis, secondo cui sono ammessi alla trascrizione "i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale".

Tale timido intervento normativo, se da un lato ha certamente consentito di superare il problema della pubblicità, marcando un punto a favore dell'orientamento "privatistico", dall'altro ha lasciato irrisolti molti altri nodi e, di fatto, ha finito per alimentare il dibattito.

I fautori della tesi pubblicistica, infatti, hanno evidenziato che milita a favore della natura obbligatoria la circostanza che il legislatore abbia ritenuto di non disciplinare la cessione di cubatura e, anzi, si sia limitato ad introdurre una disposizione ad hoc che consente la trascrizione di tutti i contratti aventi ad oggetto diritti edificatori (dei quali la cessione di cubatura rappresenta una species). Diversamente, si argomenta, la novella risulterebbe inutile, dal momento che i contratti traslativi e costitutivi di diritti reali, di superficie e di servitù (anche atipiche), erano e sono già soggetti a trascrizione rispettivamente ai sensi dei nn. 2 e 4 del medesimo art. 2643 c.c.

A comporre il conflitto sono quindi intervenute, con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi a valle di un contenzioso tributario che vedeva contrapposte, da un lato, le parti contraenti di una cessione di cubatura (che avevano qualificato l'atto come obbligatorio, quindi tassato più lievemente) e dall'altro lato l'Agenzia delle Entrate (che invece pretendeva di qualificarlo come cessione di diritti reali, soggetto ad un'imposizione maggiore).

Ebbene, il massimo consesso nomofilattico ha criticato e respinto entrambi gli orientamenti sopra ricordati, giungendo infine ad un approdo intermedio.

Quanto alla tesi "privatistica", la Corte ha evidenziato che oggetto del contratto non può essere un diritto di superficie, dal momento che quest'ultimo consiste nel diritto di edificare su suolo altrui, mentre il cessionario sviluppa la cubatura sul fondo proprio.

Né oggetto del contratto può essere una servitù poiché - anche se è certamente consentita la costituzione di servitù atipiche e sebbene la cessione di cubatura somigli ad una servitù di non edificare - il contratto di cessione risulta sotto vari aspetti incompatibile con la costituzione del diritto reale:

1) il consenso delle parti da solo non è sufficiente a produrre l'effetto desiderato (trasferimento o costituzione del diritto), poiché è necessario anche il permesso di costruire e quindi l'intervento di una "volontà esterna", sicché difettano i caratteri di immediatezza e assolutezza che caratterizzano i diritti reali;

2) mentre servitus in faciendo consistere nequit, nel caso della cessione di cubatura il cedente è anche tenuto ad un'essenziale obbligazione di facere, consistente nel prestare il consenso al rilascio del permesso di costruire "maggiorato" a favore del cessionario;

3) le servitù coinvolgono esclusivamente fondi confinanti o comunque vicini, mentre nel caso della cessione di cubatura i terreni possono essere anche piuttosto distanti tra loro, essendo necessario e sufficiente che entrambi siano ricompresi all'interno della medesima zona urbanistica, così da partecipare della stessa destinazione e degli stessi standard edificatori (cd. prossimità di zona).

Quanto invece alla tesi "pubblicistica", secondo le Sezioni Unite essa appare più rigorosa sotto il profilo dogmatico, ma non può comunque essere accolta perché - riconducendo l'effetto traslativo del diritto ad un provvedimento amministrativo qualificato come discrezionale - degrada l'oggetto del contratto di cessione ad una mera chance edificatoria, finendo per negare l'assunto, oggi pacifico, per cui lo ius aedificandi rappresenta una naturale espressione del diritto di proprietà immobiliare, che l'ente pubblico può solo regolamentare ma certo non concedere, né costituire, né tantomeno trasferire tra privati.

Inoltre, così opinando, si finisce per derubricare lo stesso contratto ad elemento meramente eventuale della fattispecie. Se, infatti, il titolo giuridico che determina la traslazione del diritto è il permesso di costruire maggiorato, il cui rilascio è oltretutto rimesso ad attività discrezionale della P.A., l'espressione della volontà delle parti rappresenta un elemento interno al procedimento amministrativo e non necessita neppure di essere espressa in un atto negoziale (bastando a tal fine che il cedente sottoscriva per adesione l'istanza del cessionario).

Il che però stride apertamente con l'evidenza fattuale per cui la cessione di cubatura è invece un atto di disposizione patrimoniale di notevolissimo rilievo per le parti contraenti: sotto il profilo giuridico, perché modifica sensibilmente il contenuto concreto del diritto di proprietà, "svuotandolo" di una delle facoltà più tipiche e significative; sotto il profilo economico, perché la cubatura rappresenta di norma la quasi totalità, o comunque la grandissima parte, del valore venale di un fondo.

A tali considerazioni si aggiunge poi la "nuova" disposizione di cui all'art. 2643 n. 2 bis c.c. (pur successiva ai fatti di causa, risalenti al 2009), che come detto riguarda tutto il genus delle operazioni aventi ad oggetto diritti edificatori, di cui la cessione di cubatura rappresenta una species.

Secondo le Sezioni Unite, da un lato, la novella parrebbe confermare la tesi "pubblicistica" secondo cui la cessione di cubatura non ha ad oggetto diritti reali, sia perché la trascrizione di questi ultimi era già prevista altrove, sia perché la norma - consentendo di sottoporre a pubblicità immobiliare tutti "i diritti edificatori comunque denominati", anche se previsti soltanto da norme regionali o da strumenti di pianificazione comunale - contempla anche diritti non tipici e non previsti dalla legge dello Stato, cioè diritti per definizione non reali, alla luce della riserva di legge di cui all'art. 42 Cost. e del riparto della potestà legislativa in materia di cui all'art. 117, lett. l), Cost.

Dall'altro lato, però, la novella in certa misura sconfessa anche la tesi "pubblicistica", poiché qualifica espressamente l'oggetto della cessione come "diritto" edificatorio (e non mera chance) e individua espressamente nei "contratti" (e non nei provvedimenti amministrativi) i titoli che determinano il trasferimento, la costituzione o la modifica di tale diritto; con una formulazione, oltretutto, che volutamente ricalca quelle di cui agli artt. 1321 e 1376 c.c.

La norma, dunque, restituisce il giusto peso al momento privatistico, cioè al contratto di cessione espressione della volontà privata delle parti, in ossequio al generale principio consensualistico, senza peraltro escludere la centralità del momento amministrativistico, cioè la necessità del rilascio di un titolo edilizio per fruire concretamente dei diritti edificatori ceduti.

Il permesso di costruire, tuttavia, rappresenta un elemento esterno al negozio, che oltretutto - come tutti i provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato - si atteggia allo stesso modo sia nei confronti dei diritti ceduti che di quelli non ceduti, salvo che per l'ammontare di cubatura che può essere assentita. In effetti, l'edificazione è sempre in concreto "intermediata" dal provvedimento amministrativo, anche quando essa è sicura espressione dello ius aedificandi del proprietario del suolo e non si fa questione di alcuna cessione di cubatura.

In definitiva, le Sezioni Unite compongono il contrasto giurisprudenziale respingendo entrambi gli orientamenti, proponendo una soluzione in un certo senso mediana ed enunciando il seguente principio di diritto:

"la cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto:

- immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;

- non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c.;

- trascrivibile ex art. 2643 c.c., n. 2 bis;

- assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto diverso avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347 del 1990 e art. 10, comma 2, del medesimo D. Lgs."

Avv. Julien Mileschi