Il caso Cappato e la sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2019

23.08.2023

Il caso Fabo-Cappato è uno dei casi emblematici del nostro secolo, divenuto uno dei simboli della lotta per il suicidio assistito. 

Il 3 giugno 2014, mentre ritornava in Italia a seguito di un viaggio, dopo una serata in un locale, il celebre musicista ebbe un incidente in auto: mentre si chinava per raccogliere il cellulare sfuggitogli di mano, sbandò e la sua vettura si scontrò contro un'altra che procedeva sulla corsia d'emergenza. Fabiano viene sbalzato fuori dall'abitacolo e da quel momento comincia un vero e proprio calvario che cambia la sua vita in modo irreversibile: rimane, infatti, cieco e tetraplegico. 

Non era più indipendente nello svolgimento delle basilari funzioni vitali (come, ad esempio, nella respirazione o nell'evacuazione) né riusciva ad alimentarsi autonomamente.

Fabiano, infatti, comincia ad affrontare mesi e mesi di cure differenti e affronta persino un viaggio in India per sperimentare delle cure staminali. Inizialmente si prospettano speranze di miglioramento, ma ben presto tutto crolla: non ci sarà modo per Fabiano di recuperare alcuna mobilità. Il Dj realizza, infatti, che rimarrà bloccato per sempre in quella che lui stesso definisce "una notte senza fine, una vita in cui i giorni si susseguono uguali, tra cure, infermieri e dolori" [1].

Decide, quindi, di porre fine alle proprie sofferenze fisiche e mentali. Fabiano e la sua famiglia si rivolgono, così, all'associazione Luca Coscioni, associazione no profit di promozione sociale, fondata da un economista affetto da sclerosi laterale amiotrofica scomparso nel 2006, entrando in contatto con Cappato, attivista radicale da anni operante all'interno dell'Associazione e impegnato da sempre nella lotta per il diritto all'eutanasia.

Marco decide di accompagnare Dj Fabo in una clinica Svizzera a Pfaffikon dove il 27 febbraio 2017 Fabiano viene sottoposto ad accertamenti medici e psicologici; il giorno dopo viene predisposta la macchina che inietterà il veleno nel corpo di Fabiano.

Il giorno successivo Marco Cappato si presentava presso i Carabinieri di Milano, rappresentando che, nei giorni immediatamente precedenti, si era recato in Svizzera per accompagnare alla sede della Dignitas Fabiano Antoniani, che lì aveva programmato e poi dato corso al suo suicidio assistito.

Marco Cappato veniva iscritto nel registro degli indagati da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e indagato per il reato previsto e punito dall'art. 580 del codice penale denominato "Istigazione o aiuto al suicidio", il quale prevede che "chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima".

Tuttavia, la Procura milanese, in data 2 maggio 2017, presentava nei confronti dell'indagato una richiesta di archiviazione, proponendo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 580 c.p., escludendo la configurazione dell'aiuto materiale di Marco. Il Gip, però, rigetta le richieste avanzate dalla Procura e dalla difesa di Marco Cappato ed impone alla stessa di formulare l'imputazione per entrambi i profili dell'aiuto materiale e morale, sostenendo che l'imputato avrebbe rafforzato il proposito suicidario criminoso di Dj Fabo, presentandogli la possibilità di beneficiare del suicidio assistito in Svizzera e fornendogli il materiale informativo.

L'8 novembre 2017 comincia pertanto il processo a Marco Cappato davanti alla prima sezione della Corte di Assise: la pubblica accusa e la difesa chiedono l'assoluzione di Cappato "perché il fatto non sussiste". La Corte di Assise di Milano assolve Cappato dall'accusa di istigazione al suicidio, ritenendo però di sollevare la questione di legittimità dell'art. 580 c.p. sotto un duplice profilo. Innanzitutto, si ritiene che la fattispecie penale in esame punisca forme meramente materiali di aiuto al suicidio fornite a soggetti la cui volontà di porre fine alla propria vita è già maturata[2]; in subordine la Corte milanese chiede che si sancisca l'illegittimità del trattamento sanzionatorio delle condotte di agevolazione, equiparate a quelle istigatorie.

L'udienza davanti alla Corte Costituzionale si teneva in data 23 ottobre 2018. La Consulta si è riunita in quella data per discutere la questione di costituzionalità e si è pronunciata il giorno seguente con la decisione di sospendere il giudizio e di riconvocare una nuova udienza per il 24 settembre del 2019.

La Corte costituzionale assume una posizione totalmente diversa rispetto alla Corte d'Assise con riferimento al bene giuridico tutelato dalla norma penale la cui costituzionalità viene messa in discussione: per la stessa, il bene tutelato dall'art. 580 c.p. non è la libertà di autodeterminazione del singolo, bensì il bene della vita. Da qui non deriva, però, l'obbligo in capo allo Stato di consentire ai terzi di agevolare il suicidio di una persona, bensì l'opposto dovere di approntare adeguate misure a difesa della vita dell'individuo.

La Corte costituzionale, però, ritiene di non poter intervenire in quanto il giudice a quo arriva a concepire il suicidio come una forma di esercizio di libertà di autodeterminazione: conseguenze di cui la Corte non può, in alcun modo, farsi carico.

La sentenza che chiude definitivamente il giudizio incidentale promosso nell'ambito del processo Cappato viene emessa il 25 settembre 2019: la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. "nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione - agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".

In questo senso, la Corte conferma quanto previsto dall'ordinanza precedente e l'incostituzionalità dell'art. 580 del c.p.

Vengono confermate le quattro condizioni che consentono un aiuto lecito al suicidio: l'essere affetto da una malattia necessariamente irreversibile, il fatto che questa sia fonte di sofferenze intolleranti e la capacità di assumere decisioni consapevoli e libere. Si fa riferimento poi alla necessità che vi sia l'intervento di strutture sanitarie pubbliche e alla possibilità che i medici possano far valere l'obiezione di coscienza.

Con un percorso certamente complesso ma chiaro, la Corte costituzionale con la sentenza n. 242 del 2019 raggiunge l'obiettivo di dare una regolamentazione, negando l'esistenza di un vero e proprio "diritto di morire"[3].

La Corte di Assise di Milano assolve pertanto Marco Cappato dall'imputazione, utilizzando la formula più liberatoria "perché il fatto non sussiste", ritenendo che la Corte costituzionale abbia ridotto l'area della sanzionabilità, che incide direttamente sulla struttura della fattispecie.

Dott.ssa Melissa Cereda

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[1] V. Imbrogno, Prometto di perderti. Io, Dj Fabo e la vita più bella del mondo. Baldini & Castoldi.

[2] J. POHIER, La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita, in Avverbi, 2004, p. 118.

[3] S. CATALANO, La sentenza 242 del 2019: una pronuncia additiva molto particolare senza "rime obbligate", p. 295.