Il “vizio parziale di mente e il dolo”

08.04.2023

Cass. pen., sez. II, 30 marzo 2022 n. 25013

Negli artt. 88 ed 89 del codice penale si trovano disciplinati il vizio di mente totale e parziale, ritenuti quali stati della mente, che a causa di una qualche infermità limitano o escludono la capacità di intendere e di volere.

Più nello specifico, il vizio disciplinato nell'art.88 c.p., essendo totale, prevede che la capacità di cui poc'anzi, venga totalmente esclusa comportando pertanto, una pronuncia di proscioglimento dell'imputato a cui, nel caso in cui venisse riscontrata la pericolosità sociale, si applicherà la misura di sicurezza prevista a norma dell'art.222 c.p., e quindi, il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario.

Circa, invece, il vizio di mente parziale, disciplinato nell'art.89 c.p., si verificherà semplicemente una riduzione della capacità di intendere e volere senza andare ad escluderla come nella norma precedente seppur destando, chiaramente delle problematiche di non poco conto a partire dal momento dell'accertamento di tale vizio, fino ad arrivare al trattamento giuridico applicabile.

L'art.89 c.p., in particolare, richiede una diminuzione significativa della capacità d'intendere e volere pertanto, il disturbo di cui il soggetto soffre deve essere davvero serio e presente nel momento della commissione del fatto, come accade anche nell'art.88 c.p..

Significativa, in merito al vizio parziale di mente ex art.89 c.p., è stata la sentenza recente del 30 marzo 2022, della II sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, la n.25013, con cui gli Ermellini, hanno ritenuto compatibile con esso anche l'elemento soggettivo del dolo.

Nel 2021, infatti, la Corte d'Appello di Roma aveva confermato la sentenza di primo grado del G.U.P del tribunale di Latina del 2020, con cui in seguito a un giudizio abbreviato, per rapina aggravata e porto d'arma impropria veniva rideterminato il trattamento sanzionatorio venendo riconosciute le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art.89 c.p..

In particolare, il difensore dell'imputato ricorreva in Cassazione, in quanto lamentava che in secondo grado non veniva considerata la perizia svolta da uno specialista, in seguito alla quale, veniva riscontrato che il soggetto al momento del fatto versasse in una fase acuta di una patologia che aveva eliminato del tutto la sua capacità d'intendere e volere e quindi non fosse possibile configurabile un reato in mancanza dell'elemento soggettivo.

La Suprema Corte riteneva e dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto, le censure erano totalmente infondate.

Più nello specifico, relativamente al vizio totale di mente che il ricorrente lamentava, veniva affermato che in primo grado era stata effettuata una perizia che aveva fornito come esito, la mancanza di un vizio tale da escludere in toto la capacità d'intendere e volere dell'imputato che "pur affetto da personalità schizofrenica, non presentava una patologia eclatante dal punto di vista psichiatrico".

I Giudici della Cassazione, rilevano, anzitutto che l'imputabilità intesa come capacità d'intendere e volere e la colpevolezza, da intendersi come coscienza e volontà di commettere un fatto illecito, sono due categorie differenti di cui però, la prima, necessita di un accertamento preliminare rispetto alla seconda, motivo per cui "il vizio parziale di mente (art.89 c.p) deve valutarsi logicamente compatibile con il dolo, non essendovi contrasto tra la seminfermità mentale ed il ritenere provato il dolo".

Da ciò, si desume, quindi, che in caso di seminfermità, il fatto dovrà comunque essere valutato per verificare la sussistenza o meno dell'elemento psicologico del reato che risulta, pertanto compatibile con il vizio parziale di mente.

Dott.ssa Martina Carosi