L’ improcedibilità dell’azione penale nei giudizi di impugnazione: possibili discriminazioni tra imputati?

13.03.2024

Tra le molteplici novità introdotte dalla riforma Cartabia di notevole interesse è la disciplina di cui all'art. 344-bis c.p.p., rubricata "Improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione". 

L'intento del legislatore, dunque, è parso chiaro: rimediare alle criticità emerse con la c.d. Legge Spazzacorrotti che - sancendo un definitivo blocco della prescrizione - ha di fatto compromesso il principio cardine della ragionevole durata del processo (artt. 111 Cost. e 6 Cedu) esponendo così l'imputato ad un giudizio penale senza fine.

La fattispecie in parola ai primi due commi individua un termine massimo per la definizione del giudizio di Appello (due anni) e di quello in Cassazione (un anno), con la conseguenza che la mancata celebrazione nei termini anzi detti produce l'emissione di una sentenza che dichiara l'improcedibilità dell'azione penale.

Pertanto, nell'ipotesi in cui vengono superati i limiti previsti, se in Appello si dovrà emanare una sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato perché l'azione penale non può essere proseguita ex art. 529 c.p.p., in Cassazione, invece, dovrà pronunciarsi - per i medesimi motivi - sentenza ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. a) c.p.p.

Al comma terzo poi viene precisato che i termini su indicati "decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'art. 544 c.p.p. per il deposito della sentenza".

La norma al comma quarto contempla la possibilità per il giudice - in ipotesi tassative - di prorogare con ordinanza motivata i termini di cui ai commi 1 e 2 nei casi in cui il giudizio risulti particolarmente complesso "in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare", per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello e a sei mesi nel giudizio di cassazione. Parimenti, proroghe ulteriori possono essere disposte quando si procede per: 1) i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, per i delitti di cui agli articoli 270 terzo comma, 306, secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis, nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale; 2) i delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis 1, primo comma, del codice penale (occorre ricordare che in tal caso i periodi di proroga non possono superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione); 3) il delitto di cui all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

Contro l'ordinanza che dispone l'eventuale proroga è possibile proporre ricorso in Cassazione - a pena di inammissibilità - entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione. Sul ricorso, che non ha effetto sospensivo, decide la Corte di Cassazione entro trenta giorni dalla ricezione degli atti secondo le forme previste dall'art. 611 c.p.p. Nel caso in cui venga rigettato o dichiarato inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con la impugnazione della sentenza.

Il legislatore prescrive al comma sesto dell'art. 344-bis c.p.p. i casi in cui i termini previsti dai primi due commi sono sospesi[1], con effetto per tutti gli imputati nei cui confronti si sta procedendo.

La norma de quo disciplina, altresì, il caso in cui la Corte di Cassazione abbia emesso sentenza di annullamento con rinvio alla Corte d'Appello. In detta ipotesi, infatti, per il giudizio di rinvio trovano applicazione i commi 1, 4, 5, 6, e 7 dell'art. 344-bis c.p.p.

Oltre a ciò, occorre sottolineare che così come previsto per l'istituto della prescrizione anche per l'improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. è preclusa la operabilità nei procedimenti per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti ed è ammessa la possibilità da parte dell'imputato di rinunciarvici.

Dunque, dalla disamina della disposizione - nella parte in cui si consentono illimitate proroghe per gravi fattispecie di reato e in quella in cui si esclude di pronunciare declaratoria di improcedibilità per i reati puniti con l'ergastolo - si evince un chiaro passo indietro verso la riforma Bonafede e un evidente discriminazione tra imputati. Difatti, nell'ipotesi in cui si procede per i reati di criminalità organizzata sono previste proroghe illimitate che vanno di fatto ad incidere sulla durata massima del processo penale. Così facendo si vengono a delineare categorie di imputati e categorie di reati.

Pertanto, un istituto come quello della improcedibilità la cui ratio è di garantire una ragionevole durata del processo, impone la medesima garanzia nei confronti di ciascun imputato indipendentemente dal reato che gli viene contestato. Pertanto, è lampante come le scelte del legislatore siano di difficile compatibilità con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 27 e 111.

Dott. Simone Zinni

[1] a) nei casi di sospensione della prescrizione ex art. 159, co. 1 c.p.; b) nel giudizio di appello, anche per il tempo occorrente per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (in tal caso il tempo di sospensione tra un'udienza e l'altra non può eccedere i sessanta giorni); c) qualora sia necessario procedere a nuove ricerche dell'imputato per la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello o degli avvisi di cui all'art. 613, co. 4 c.p.p.