Invalidita’, nullita’ annullabilita’, eccesso di potere: una storia “a puntate”. (parte 2)

30.12.2022

Eccoci giunti alla seconda parte del nostro discorso sulla invalidità degli atti amministrativi.

Leggi la prima parte qui:

Nella puntata precedente abbiamo parlato dell'invalidità dell'atto e nell'ultima parte abbiamo parlato dell'articolo 21 septies delle Legge 241/1990 (se volete fare un piccolo ripasso su della terminologia: 

Non ci resta desso che passare all'articolo 21 octies, comma 1 della Legge citata, il quale ha fatto perdere numerose notti a dottrina e giurisprudenza nel tentativo febbricitante di dare compiutamente una definizione alle singole cause di annullabilità.

Per il modo di disporre dell'articolo di cui si tratta è annullabile il provvedimento assunto in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 

Per facilità di trattazione, partiremo dalla violazione di legge e dall'incompetenza.

Il vizio della violazione di legge ricorre ogni qualvolta sussista una difformità tra il provvedimento e la fattispecie normativa la quale non investe il profilo soggettivo (ovvero l'individuazione dell'organo competente alla relativa adozione in tal caso configurandosi l'incompetenza). 

Al riguardo va precisato che l'incompetenza a cui si allude è quella tradizionalmente nota come incompetenza relativa in contrapposizione a quella assoluta, nomenclatura che attiene a quei casi in cui l'organo emanante appartenga ad un ente diverso da quello investito dalla relativa attribuzione ovvero ad un diverso plesso amministrativo, nel qual caso si verifica un'ipotesi di nullità del provvedimento (vedi articolo 21septies e di specie il vizio di difetto assoluto di attribuzione).

Questione ben più spinosa, e che necessita della nostra attenzione, è quella relativa all'eccesso di potere.

La teoria dei vizi dell'atto amministrativo difatti è il frutto ormai ben maturo, in gran parte, dell'elaborazione della IV Sezione del Consiglio di Stato. Il giudice amministrativo dovette cioè riempire di contenuto le scarne disposizioni della legge del 1889 che attribuivano alla sua sfera i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge.

Così, da subito, la giurisprudenza interpretò la formula «eccesso di potere» (che riprendeva quella francese di excès de pouvoir), non già come «straripamento di potere» (débordement de pouvoir, riferito in origine agli sconfinamenti dell'autorità giudiziaria nella sfera riservata di altra autorità giudiziaria), bensì come «sviamento di potere» (détournement de pouvoir). 

Il primo riguarda i casi di sconfinamento macroscopico dall'ambito di competenza da parte di un'autorità amministrativa (quella che poi venne denominata variamente carenza di potere o incompetenza assoluta e ora, nell'art. 21-septies, come «difetto assoluto di attribuzione»); il secondo i casi nei quali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello posto dalla norma attributiva del potere (deviazione dell'atto dalla sua destination légale).

In secondo luogo, la giurisprudenza individuò ipotesi nelle quali il provvedimento è affetto da deviazioni abnormi dalla norma attributiva del potere o è addirittura promulgato in assenza di una base legislativa tanto da non poter essere inquadrato all'interno del regime dell'illegittimità. 

Affiorò così una tipologia di vizi più gravi sussunti nella categoria della carenza di potere o anche della nullità. In presenza di questi vizi, il provvedimento perde il carattere imperativo e dunque non è in grado di travolgere, degradare o affievolire i diritti soggettivi. Gli atti assunti in carenza di potere vennero pertanto attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, mentre gli atti con riferimento ai quali veniva contestato soltanto il cattivo esercizio del potere restarono affidati alla cognizione del giudice amministrativo.

L'eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali e mette in condizione il giudice di operare un sindacato che va oltre la verifica del rispetto dei vincoli puntuali posti in modo esplicito dalla norma attributiva del potere e che può spingersi fino ai confini del merito amministrativo.

Secondo la dottrina più accettata, l'eccesso di potere riguarda l'aspetto funzionale del potere, cioè la realizzazione in concreto dell'interesse pubblico affidato alla cura dell'amministrazione. E questo spiega il fatto che si tratta di un vizio sostanzialmente sconosciuto nel diritto privato. In questa branca difatti, fatti salvi i casi marginali di abuso del diritto, nei negozi privati i motivi ad essi subordinati non hanno un rilievo esterno al soggetto agente e sono considerati giuridicamente non rilevanti. Il regime civilistico dell'invalidità ammette infatti solo un controllo di tipo estrinseco sulla capacità del soggetto agente, sugli aspetti formali e procedurali e sul rispetto delle norme imperative.

Dell'eccesso di potere sono state offerte in dottrina molte ricostruzioni che lo qualificano variamente come un vizio della causa, della volontà, dei motivi, del contenuto del provvedimento. L'elaborazione oggi prevalente[1]definisce l'eccesso di potere come "vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti"[2].All'interno cioè delle fasi del procedimento (istruttoria, fase decisionale), possono emergere anomalie, incongruenze e disfunzioni che danno origine appunto all'eccesso di potere.

La figura primitiva dell'eccesso di potere è lo sviamento di potere che consta nella violazione del vincolo del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione si ha nel momento in cui il provvedimento emanato persegue un fine differente (pubblico o privato) da quello in relazione al quale il potere è conferito dalla legge all'amministrazione. Talvolta il fine pubblico non è posto in modo espresso dalla legge, ma va ricavato in via interpretativa.

Esempi di sviamento di potere sono il trasferimento d'ufficio di un dipendente pubblico non privatizzato, motivato da esigenze di servizio (riordino degli uffici), che in realtà ha una finalità punitiva; l'ordinanza di un sindaco che impone un divieto di fermata degli autoveicoli in alcune strade motivato con l'esigenza di evitare intralci alla circolazione, che persegue in realtà il fine di disincentivare la prostituzione su strada; lo scioglimento governativo di un consiglio comunale per ripetute violazioni di legge, che sottende però una finalità politica; il provvedimento comunale che nega l'installazione di un'antenna di telefonia mobile per ragioni di tipo urbanistico-edilizio, che in realtà persegue il fine sanitario di minimizzare l'esposizione dei residenti all'inquinamento elettromagnetico.

Nella prassi lo sviamento di potere è parecchio difficoltoso da provare, perché il provvedimento appare esattamente fedele alle disposizioni normative che regolano quel particolare potere. Ciò ha indotto la giurisprudenza, a ricercare differenti metodi volti a rilevare il vizio in parola operando in via indiretta basandosi su elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale, "creando" le cosiddette figure sintomatiche.

Prendendo a mutuo (ancora) una metafora tratta dalla pratica medica, se l'eccesso di potere è visto come una patologia del provvedimento discrezionale, la diagnosi va operata essenzialmente attraverso i sintomi, cioè le manifestazioni peculiari dell'affezione rilevabili da chi osserva.

Le figure sintomatiche dell'eccesso di potere costituiscono una categoria non tipizzata dal legislatore. Alcune sono ormai consolidate in dottrina e nella prassi applicativa e si prestano a essere classificate secondo vari criteri.

Uno di essi può essere di riferirle in estremo rigore logico temporale alle fasi del procedimento, distinguendo quelle che riguardano la fase istruttoria da quelle che riguardano la fase decisionale. Ulteriore criterio è quello di discernere tra figure sintomatiche intrinseche, che come tali affiorano direttamente dall'analisi del provvedimento e degli atti procedimentali (si pensi ad esempio la contraddittorietà della motivazione), e figure sintomatiche estrinseche, che si desumono dal raffronto tra il provvedimento ed elementi di contesto esterno, come altri atti emanati in situazioni analoghe, direttive circolari.

Curiosi di sapere quali sono, nel dettaglio, queste figure?

Non vi resta che aspettare il prossimo contributo!

Dott. Giovanni Lucio Vivinetto


[1] F.Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in rass.dir,pubbl. 1950.

[2] Ibidem.