L’attività del consulente tecnico: cos’è la consulenza esplorativa?
L'attività del consulente è disciplinata all'articolo 62 c.p.c.: "Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede (…)".
La consulenza tecnica di ufficio (c.t.u.) è volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze ed è sottratta alla disponibilità delle parti essendo affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Quest'ultimo può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati preesistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi con l'impiego di conoscenze o tecniche complesse (consulente percipiente): solo in questo secondo caso però la consulenza tecnica d'ufficio (c.t.u.) acquista il valore di prova ritualmente utilizzabile nel processo.
La ragione di questa distinzione risiede nel principio dispositivo che regola Il processo civile: "Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita" (art.115, comma 1 c.p.c.). L'ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può indagare di ufficio su fatti che non siano mai stati allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. Un'eccezione a tale regola si ammette soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, richiedendo l'utilizzo di cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti.
E' pertanto vietata la c.d. consulenza "esplorativa"; volta a compensare l'insufficienza dell'impianto probatorio costruito dalle parti nel processo e che postuli l'acquisizione autonoma, da parte del consulente, di documenti tesi a dimostrare fatti principali posti a fondamento della domanda che non sono stati prodotti dalla parte. Tale divieto rappresenta il giusto corollario del principio dispositivo e del principio della domanda, da cui il primo insieme al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato discende.