La rieducazione dimenticata dietro le sbarre: negato il diritto di voto ad ex detenuto

17.04.2024

*** La nostra Carta Costituzionale pone tra i principi fondamentali il diritto-dovere di voto all'art. 48 Cost., soggetto alle esclusive limitazioni di cui al II comma. Nel caso di sentenza penale irrevocabile, e nelle sole ipotesi di cui agli artt. 28 e 29 c.p., il condannato viene privato del diritto all'elettorato attivo e passivo. Ma come si concilia simile restrizione con il principio della rieducazione della pena? E, una volta espiata la condanna, si torna a godere pienamente dei diritti fondamentali o lo stigma del precedente del carcere continua a prevalere? ***

La garanzia dei diritti fondamentali sanciti in Costituzione è, per l'ordinamento italiano, prerogativa assoluta, così come risulta chiaramente dalla classificazione per Titoli già in sede di Costituente. 

Ad apertura dei diritti politici (Titolo IV – "Diritti e doveri dei cittadini", Parte I), all'art. 48 Cost. è sancito il diritto di voto, concepito al contempo al II comma come dovere civico, espressione del principio di universalità e di eguaglianza formale e sostanziale, dovendo essere garantito ampiamente e senza restrizioni. Tuttavia, all'ultimo comma sono previste specifiche limitazioni: incapacità civile, sentenza penale irrevocabile ed indegnità morale.

Simile concezione estesa del diritto di voto viene condivisa anche dal legislatore penale, che commina la privazione di tale facoltà non come pena principale, bensì come pena accessoria ex art. 28 c.p., discendente dall'interdizione dai pubblici uffici nei casi di cui all'art. 29 c.p., perpetua ove vi sia stata condanna all'ergastolo o a pena detentiva non inferiore a 5 anni ovvero temporanea per la durata di 5 anni in caso di condanna non inferiore a 3 anni.

In altri termini, il mero stato di custodia cautelare o di condanna non definitiva non determina la perdita del diritto al voto, così come ne consegue solo una sospensione in caso di interdizioni temporanea dai pubblici uffici, mentre solo i condannati all'ergastolo o ad una pena superiore a 5 anni, interdetti in perpetuo, ne sono privati in maniera definitiva ed automatica.

A ciò si aggiungano alcuni delitti specificatamente individuati dal legislatore che, a prescindere dal quantum di pena, prevedono quale conseguenza della condanna irrevocabile la perdita del diritto all'elettorato attivo e passivo.

Simili limitazioni, coperte da riserva assoluta di legge, non appaiono contrastare con l'art. 27 Cost., come pacificamente ritenuto sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte EDU nella causa "Scoppola contro Italia", atteso che il diritto di voto – inteso sia come partecipazione attiva alla votazione che passiva come candidato alle elezioni – pur rappresentando un principio fondamentale per garantire i valori democratici, "non è assoluto perché ogni Stato ha la possibilità di individuare limiti alla sua estensione, correlati alla visione della democrazia"[1]. Pertanto, la compressione del diritto di voto quale sanzione accessoria di una condanna può rappresentare espressione di finalità legittime perseguite dai singoli Stati, tra i quali "la prevenzione dei reati", "il buon funzionamento" ed "il mantenimento della democrazia"[2].

Da tali premesse si comprende come il diritto di voto, per l'importanza che riveste all'interno del nostro ordinamento anche quale manifestazione della dignità umana, e con le sole legittime restrizioni supra esposte, deve essere garantito anche all'interno delle strutture penitenziarie.

Invero, agli artt. 8 e 9 della L. 23 aprile 1976, n. 136 è disciplinata la procedura per la costituzione di un seggio elettorale speciale nel luogo di detenzione, la cui attivazione è rimessa al singolo ristretto che intende esercitare il diritto all'elettorato il quale, per il tramite dell'Ufficio Matricola del carcere, non oltre il terzo giorno antecedente alla data della votazione deve far pervenire una dichiarazione al Sindaco del Comune nelle cui liste elettorali risulta iscritto.

Tuttavia, le strutture penitenziare presenti sul nostro territorio non consentono di esercitare agevolmente tale diritto, non solo in quanto appare essere – più che un diritto – un onere gravante sul detenuto che intende esprimere il proprio voto attivare i procedimenti ai fini dell'allestimento del seggio speciale all'interno del carcere, ma altresì in quanto le lungaggini burocratiche non sempre consentono di far pervenire nei termini al richiedente le autorizzazioni e gli strumenti necessari all'espletamento della facoltà de qua.

Se, con tutte le complessità appena rappresentate, il diritto di voto viene (legittimamente) garantito per chi si trova in vinculis, ragionevolmente dovrebbe essere assicurato al condannato che, dopo aver espiato la condanna, abbia ottenuto la riabilitazione. E, se tanto è vero, come può, pertanto, negarsi l'accesso all'elettorato ad un ex detenuto riabilitato?

Il caso di cronaca reso noto durante le ultime elezioni regionali in Sardegna ha messo in luce alcune delle storture di un sistema costituzionalmente improntato alla rieducazione dei condannati. Invero, un cittadino sessantatreenne sardo, dopo aver espiato completamente la pena, a seguito della riabilitazione ottenuta nel mese di ottobre 2022, avanzava tempestivamente richiesta di rilascio della tessera elettorale, negata dal Sindaco. Credendo si trattasse di un errore, ed essendo pienamente nei termini, reiterava la propria istanza, che tuttavia veniva nuovamente rigettata. Costretto ad interfacciarsi con la Prefettura, invano, non avendo ottenuto prima delle elezioni la tessera elettorale, ha dovuto rinunciare all'esercizio del diritto/dovere di voto.

Pertanto, un cittadino regolarmente riabilitato, a causa di inadempienze delle istituzioni, ha subito il pregiudizio di non poter esprimere il proprio voto, come riflesso della di lui precedente detenzione e condanna, in spregio al principio rieducativo della pena.

Infatti, affinché possa essere compiutamente assicurato il reinserimento del condannato è necessario che lo stesso venga messo nelle condizioni di esprimere i valori sociali riacquisiti; è evidente che il diritto di voto, manifestazione della partecipazione alla sovranità popolare, più di tutti incarna i principi di dignità, responsabilità e risocializzazione del reo, finalità che la pena intende perseguire e che, pertanto, non può prescindere dalla partecipazione alla vita politica.

Dott.ssa Simona Ciaffone

[1] Corte EDU, Scoppola contro Italia n. 3, Sent. del 22 maggio 2012 (§ 83).

[2] Corte EDU, Scoppola contro Italia n. 3, Sent. del 22 maggio 2012 (§ 90 e 91).