L'accanimento terapeutico

26.06.2023

"Quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi."

-Enciclica Evangelium Vitae di Papa Giovanni Paolo II del 1995-

Si parla di "Accanimento terapeutico", quando si vuole intendere la particolare circostanza in cui viene impiegata un'eccessiva quantità di farmaci che, tuttavia, non produce nei riguardi del paziente, alcun effetto positivo.

Non è, però, agevole stabilire a che punto delle terapie farmacologiche, sia possibile sfociare nell'accanimento terapeutico, motivo per cui ha tentato di fornire qualche linea guida, la L. n. 219/2017 ad integrazione delle informazioni rese già dal Codice Deontologico dei Medici.

In particolare, l'art. 2 della predetta legge riporta testualmente che "Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.".

Sulla base di quanto previsto nell'articolo appena menzionato, quindi, si potrebbe ravvisare il limite di cui prima, nella condizione di salute del paziente stesso: qualora la prognosi fosse infausta, infatti, la somministrazione di ulteriori cure nonché la sottoposizione ad altri trattamenti aggressivi, deve essere impedita.

Allo stesso modo, il Codice Deontologico dei Medici, nell'articolo 16 afferma che "Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal paziente o dal suo rappresentante legale e dei principi di efficacia e di appropriatezza delle cure, non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita".

Ciò posto, se da una parte è vero che il medico decide quali potrebbero essere le cure applicabili, non può, nella sua decisione, prescindere dalla volontà del paziente che potrebbe, pertanto, ritenere quelle cure inappropriate ed aggressive per la propria condizione decidendo di rifiutarle.

Proprio in ragione di quanto appena esposto, la L.n.219 del 2017 esalta il c.d. Consenso informato che permette al paziente di esprimere la propria volontà in merito ai trattamenti sanitari e alle cure che il medico vorrebbe somministrargli.

Il consenso informato di cui poc'anzi, viene anzitutto riconosciuto come diritto costituzionale, disciplinato nell'articolo 1 della legge in esame che, infatti, prevede che senza il consenso libero ed informato del diretto interessato, non può essere avviato o proseguito alcun trattamento sanitario, considerando, ovviamente, i casi eccezionali previsti dalla legge.

La volontà del paziente deve essere naturalmente documentata in un atto a forma libera o anche tramite videoregistrazione, che permetterà al medico, da una parte di non rispondere penalmente e civilmente per il trattamento, e al paziente, dall'altra, di vedere rispettata la propria volontà in forza dei principi di libertà, consapevolezza e revocabilità.

Proprio per via dei principi di cui poc'anzi, il consenso del paziente circa la somministrazione di trattamenti sanitari[1], può essere revocato o modificato ed a quel punto sarà premura del medico esporre al paziente le eventuali conseguenze delle proprie scelte, nonché le soluzioni alternative applicabili, fermo restando il suo obbligo ad attenersi al rispetto della volontà della persona in cura.

Nel caso dei minori, l'art.3 della Legge prevede che avendo diritto a vedere rispettata la propria volontà, saranno i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o il tutore legale a prestare o negare il consenso informato al trattamento sanitario del minore, tenendo in considerazione sia la capacità di intendere e volere della persona, sia la sua maturità.

Ogni scelta, da tali soggetti espressa deve, ovviamente, essere assunta nel totale interesse psicofisico del minore.

Altrettanto importante, parlando del consenso informato, è la possibilità di esprimere preventivamente la propria volontà circa i trattamenti sanitari a cui si è disposti a sottoporsi.

L'art.5 della legge in oggetto, prevede, infatti, la possibilità di esprimere preventivamente la propria volontà in previsione di una futura incapacità di autodeterminazione, tramite la redazione della DAT, ovvero, del Testamento Biologico[2], ove è possibile indicare una persona di fiducia che prenderà il nome di "fiduciario", con il preciso compito di farne le veci e relazionarsi con i medici.

Le DAT, a differenza del consenso informato, devono essere redatte con atto pubblico o scrittura privata autenticata o consegnate personalmente dal disponente nell'ufficio dello stato civile del proprio comune di residenza in modo da permetterne l'annotazione in un apposito registro.

La L.n.219/2017, si pone, pertanto a tutela della volontà del soggetto sottoposto alle cure sia dal fronte del consenso informato, sia da quello del testamento biologico, ispirato soprattutto dalla vicenda di Eluana Englaro.

Dott.ssa Martina Carosi

[1] Nella legge 219/2017 in materia di testamento biologico, vengono intesi come trattamenti sanitari: l'alimentazione e l'idratazione artificiale.

[2] La DAT è comunemente definita "testamento biologico", ma la dicitura non è poi così adeguata. La DAT, infatti è una semplice manifestazione di volontà con decorrenza dei propri effetti, nel momento in cui l'autore avrà necessità di cure o trattamenti. Il testamento, invece, produrrà effetti solo alla morte del de cuius.