Esclusa la legittima difesa per l’amante che scaglia un vaso contro la moglie
Cass. Pen, Sez. V, 14 gennaio 2025 n. 1679
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A cura di Dott.ssa Martina Carosi
Nel 2019 era stata condannata dal Tribunale di Firenze per aver cagionato lesioni personali all'amante del marito costituitasi parte civile, alla pena di mesi sette di reclusione e al risarcimento di euro 2000.00 €.
Avverso la sentenza di primo grado la ricorrente proponeva ricorso in appello, all'esito del quale la sentenza emessa dal Tribunale veniva parzialmente riformata poiché venivano riconosciute le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all'aggravante di aver commesso il fatto per mezzo di uno strumento atto ad offendere.
Secondo la ricostruzione probatoria, infatti, l'imputata a seguito di una lite con la moglie dell'uomo con cui intratteneva una relazione extraconiugale, avvenuta per gelosia all'interno della propria attività commerciale, le aveva lanciato un vaso cagionandole un trauma cranico guaribile in 5 giorni.
La ricorrente ricorreva, quindi, in Cassazione adducendo ben cinque motivi di doglianza.
In particolare, lamentava il mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa ex art. 52 cod. pen., poiché riferiva di aver agito solo per difendersi dalla condotta della persona offesa, censurando la parte motiva della sentenza di secondo grado in cui il giudice di seconde cure aveva ritenuto che la persona offesa non era più in grado di nuocerle in alcun modo essendo stata trasportata all'esterno del locale commerciale da due uomini.
Sul punto, la ricorrente affermava che una volta all'esterno, come si evinceva dai filmati di videosorveglianza, la persona offesa aveva tentato di rientrare nel negozio per colpire l'imputata eludendo i due uomini.
Sul ricorso presentato dalla donna, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione chiedeva l'annullamento del procedimento per prescrizione del reato.
In diritto, la Suprema Corte ha ritenuto doveroso dichiarare l'annullamento del procedimento per prescrizione del reato ritenendo, dei cinque motivi di doglianza, ammissibile per gli effetti civili solamente il quarto, relativo al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione.
Nello specifico, in relazione al riconoscimento della scriminante della legittima difesa ex art.52 c.p., gli ermellini hanno reputato infondati i motivi di ricorso ritenendo che la colluttazione fosse avvenuta quasi all'esterno dei locali sulla base delle dichiarazioni rese da un testimone durante il giudizio di primo grado e che "esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali e una diversa, e per il ricorrente più favorevole, ricostruzione dei fatti" (Sez. U. n. 22242 del 27.01.2011).
Anche in relazione al riconoscimento della legittima difesa domiciliare, costituente il secondo motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto necessario dichiaralo inammissibile in considerazione del fatto che "la legittima difesa, anche quando invocata in relazione alla commissione di una violazione di domicilio da parte della vittima, richiede, in ogni caso, il requisito del <<pericolo attuale di un'offesa ingiusta, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata>>, che nel caso in esame, risulta escluso dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito".
E' stato, tuttavia, ritenuto fondato e ammissibile il quarto motivo di ricorso relativo al riconoscimento dell'attenuante della provocazione, ma essendo il reato estinto per prescrizione, la causa è stata rinviata al giudice civile per la valutazione della condotta della persona offesa sotto il profilo della determinazione del danno da liquidare.