I poteri giudiziari in sede di rilevazione d'ufficio della nullità

02.09.2024

La nullità costituisce la più grave forma di reazione da parte del sistema giuridico verso la libertà negoziale, in aperta contrapposizione con la volontà privata.

Essa è causa di invalidità contrattuale, disciplinata all'interno del Capo XI, Titolo II del Libro IV del codice civile.

Secondo la migliore definizione, un contratto è nullo quando presenta carenze strutturali e/o violazioni di specifiche regole imposte dalla legge.

Il regime giuridico che l'ordinamento ha dettato per la nullità si spiega in ragione della tutela di interessi talmente rilevanti, che non è possibile rimetterla alla volontà dei consociati.

Essa è causa di inefficacia ab origine del contratto. Un contratto nullo, dunque, è improduttivo di effetti, in ciò distinguendosi dal contratto annullabile, il quale ne produce salvo che intervenga una pronuncia giudiziale.

Sul versante processuale, la pronuncia di nullità è meramente dichiarativa, e non costitutiva.

Diretta conseguenza di tale primo aspetto, ai sensi dell'art. 1421 c.c., è la legittimazione generale a farla valere.

Ciò non significa che la legittimazione attiva sia indiscriminata, occorre, infatti, sempre avere un interesse, in ossequio al principio processualcivilistico ex art. 100 c.p.c.

È, dunque, legittimato ad agire anche il terzo estraneo al rapporto contrattuale, purché provi la sussistenza di un proprio interesse.

Ulteriore caratteristica risiede nella imprescrittibilità dell'azione, come espressamente afferma l'art. 1422 c.c. In combinato disposto con la norma precedente, l'ordinamento garantisce a chiunque vi abbia interesse a far valere in ogni tempo la nullità di un contratto.

L'art. 1421 c.c., nella sua seconda parte, traccia un'importante distinzione tra la nullità, sia generale, che di protezione, e l'annullabilità.

Solamente la prima, infatti, può essere oggetto di rilievo d'ufficio da parte del giudice.

Sul tema, recentemente, si sono scontrati diversi orientamenti giurisprudenziali in ordine all'opportunità e ai limiti della cognizione dell'autorità giudiziaria.

In un primo momento, il suddetto potere era ammesso a condizione che fosse stata avanzata dalle parti domanda di nullità per diversa causa rispetto a quella rilevata ex officio.

Tale impostazione valorizzava soprattutto il principio della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato, in ossequio al divieto di ultra petita.

Riconosceva come, nel pronunciarsi sulla stessa domanda, l'organo giurisdizionale potesse colmare la richiesta della parte rilevando vizi non prospettati, ma emergenti dagli stessi elementi probatori acquisiti al giudizio.

A oggi, invece, si è fatto strada un orientamento più incisivo, accolto dalla Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, foriero del principio generale, la questione ruotava attorno alla possibilità per il giudice di rilevare la nullità anche se la domanda avanzata fosse di risoluzione.

Interrogata, la Suprema Corte si pronunciava in senso positivo, adducendo varie motivazioni.

In primo luogo, per argomento logico, la nullità del contratto è un fatto impeditivo degli effetti antecedente rispetto ai vizi che incidono sul rapporto.

In secondo luogo, la risoluzione presuppone che il contratto impugnato sia valido. Qualora, invece, il giudice ravvisi la nullità dell'accordo, questa dovrà essere sempre rilevata in quanto causa che fa venir meno il fondamento della domanda principale.

Infine, la Corte si appoggiava alla stessa giurisprudenza comunitaria, la quale più volte ha affermato l'obbligo per il giudice di esaminare sempre la validità del contratto impugnato.

Per questo motivo, compete all'organo giudiziario il potere di rilevazione d'ufficio della nullità sia quando sia stata domandato l'annullamento, la risoluzione o la rescissione del contratto, sia quando ne sia stato richiesto l'adempimento.

Ai sensi di tale orientamento, anche quando la parte agisca per il risarcimento danni da inadempimento contrattuale il giudice dovrà per prima cosa accertarsi della validità del contratto presupposto, poiché ne costituisce questione pregiudiziale logico-giuridica.

Infatti, se il contratto è nullo, non deve essere adempiuto, allora non si può configurare né un inadempimento, né un danno da risarcire.

Ci si domanda, inoltre, se lo stesso potere sia esercitabile anche nei casi di nullità di protezione.

La questione non è priva di fondamento, infatti, in ragione della speciale legittimazione attiva relativa, si potrebbe configurare l'ipotesi in cui il soggetto nel cui interesse è posta vi rinunci.

È d'uopo una premessa, innanzitutto si deve ricordare che, per la funzione che tale nullità svolge, sarebbe rilevabile d'ufficio solo quella nullità di una parte del contratto in danno del contraente debole.

Una volta sottolineato ciò, è possibile rifarsi a quanto detto in giurisprudenza.

Per un orientamento, tale potere è certamente esercitabile, in quanto il giudice svolge la funzione di garante degli interessi tutelati dall'ordinamento.

Invece, anche a livello comunitario, è preferita l'impostazione contraria.

Per tale approccio, il giudice non può rilevare la nullità relativa qualora lo stesso contraente legittimato esprima un proprio personale interesse all'efficacia del contratto, sia in maniera esplicita, attraverso una dichiarazione, sia in modo implicito, tramite domanda di esecuzione contrattuale.

In conclusione, è possibile osservare come sussista il potere di rilevazione d'ufficio in capo al giudice ogniqualvolta le parti propongano una domanda che presuppone, come fondamento logico-giuridico necessario, la validità e l'efficacia del contratto.

Tale potere viene esercitato, in ossequio al principio dispositivo della prova, sulla base delle risultanze prodotte in giudizio.

Una volta rilevata la nullità, il giudice ha l'obbligo di renderla nota alle parti provocando il contraddittorio. Se le parti, in tale evenienza, avanzano domanda di nullità, l'autorità giudiziaria potrà decidere con forza di giudicato, altrimenti dovrà limitarsi a rigettare la domanda.

Tutto quanto detto vale salva l'ipotesi in cui lo stesso giudice non rilevi una ragione più liquida rispetto alla nullità del contratto in forza della quale giungere alla risoluzione della controversia.

Dott. Gennaro Ferraioli