La progressione di carriera quale fattore incidente sulla quantificazione dell’assegno divorzile

26.02.2024

Cass. civ., Sez. I, 18 dicembre 2023, n. 35298 

L'indirizzo in esame trae spunto dalla vicenda che vede coinvolti due ex coniugi nel procedimento di modifica delle condizioni di divorzio.

In primo grado il Tribunale competente aveva disposto la revoca dell'assegno divorzile di Euro 400,00 mensile. Tale revoca era fondata: sul mutamento peggiorativo delle condizioni economiche dell'ex marito a causa di ingenti spese mediche; sull'assunzione della ex moglie quale infermiera professionale da parte dell'Azienda Sanitaria locale con stipendio di circa Euro 1.650,00 netti al mese; sulla circostanza che quest'ultima fosse proprietaria di due immobili; sulla mancanza di sacrificio delle proprie aspettative professionali.

In seguito al reclamo proposto dalla ex moglie avverso il decreto di revoca dell'assegno, la Corte d'appello competente riformava il provvedimento impugnato, quantificando l'assegno nella somma di Euro 250,00.

L'ex marito ricorreva in Cassazione per ottenere la revoca del predetto assegno.

La Suprema Corte statuiva in ordine alle doglianze espresse: "alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alle funzioni assistenziale e perequativo-compensativa dell'assegno (da commisurare al contributo fornito nella vita coniugale in concreto, in considerazione delle aspettative professionali sacrificate, allo scopo di riconoscere al coniuge economicamente più debole il ruolo e il contributo dallo stesso fornito alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi, tenuto conto della durata del matrimonio e dell'età dell'avente diritto, attraverso una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti avendo sacrificato venti anni di lavoro e dei connessi contributi previdenziali)"; il peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente e la situazione lavorativa della resistente "non erano elementi sufficienti a giustificare la revoca dell'assegno divorzile, essendo evidente la permanenza di uno squilibrio economico-reddituale tra le parti, anche a seguito del divorzio. Tuttavia, lo svolgimento di attività lavorativa giustificava una limitata riduzione del contributo dovuto".

Il discrimine, nell'alternativa tra la revoca e la revisione della misura economica, era determinato dalla valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti anche alla luce della progressione di carriera di cui aveva potuto beneficiare il ricorrente, anche per merito della dedizione familiare dimostrata dalla moglie ed a svantaggio delle proprie aspettative professionali e reddituali: "ciò che dimostrava come quest'ultima avesse sacrificato a lungo le proprie aspettative professionali, anche dopo la separazione giudiziale, dedicandosi alla famiglia alla luce della durata del matrimonio, mentre l'ex marito aveva goduto della progressione di carriera, con conseguente aumento dei redditi".

Pertanto la Corte affermava che il giudice del gravame aveva, in base a tale ultimo parametro, correttamente determinato l'assegno divorzile a carico del ricorrente, "sia sulla base delle disparità reddituali tra gli ex coniugi, sia tenendo conto del contributo che la ex moglie aveva apportato al patrimonio familiare e dell'ex marito, sacrificando le proprie aspettative professionali e reddituali a causa del trasferimento dell'ex marito (il quale, dal canto suo, aveva goduto della progressione in carriera sino al passaggio al grado di maggiore (…) anche percependo, in tal modo, voci stipendiali straordinarie, con notevole aumento dei redditi e delle necessità di educare e assistere i tre figli)".

In riferimento al caso di specie, la L. 01/12/1970, n. 898, Art. 5, comma 6, stabilisce: "Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".

A tal proposito ed al fine di poter valutare l'incidenza o meno delle sopravvenienze (che nel caso in esame riguardavano le spese mediche sostenute dal ricorrente a causa di una improvvisa patologia), sulla spettanza o sulla misura dell'assegno si deve procedere all'accertamento delle ragioni per cui si sia verificata una disparità reddituale tra i coniugi all'atto di scioglimento del matrimonio. Infatti si deve appurare se essa sia stata determinata da scelte condivise di conduzione della vita familiare, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di uno dei coniugi, tenendo altresì conto della durata del matrimonio e delle rispettive ed effettive potenzialità professionali e reddituali.

La Cassazione condivide l'approdo della Corte territoriale che aveva infatti riscontrato che "la disparità reddituale esistente all'atto dello scioglimento del matrimonio era stata determinata da scelte condivise di conduzione della vita familiare, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali dell'ex moglie, tenuto conto della durata del matrimonio e delle rispettive ed effettive potenzialità professionali e reddituali, avendo la donna sacrificato venti anni di lavoro e dei connessi contributi previdenziali, escludendo, l'incidenza su tale valutazione dei fatti sopravvenuti relativi alle spese mediche sostenute dal ricorrente (che di fatto avevano inciso in misura esigua sulle capacità reddituali del medesimo).

La pronuncia in esame si distingue per il pregio dimostrato nella persistenza del filone giurisprudenziale, ormai dominante in materia di Diritto di Famiglia, che riconosce ai contributi versati in favore dell'ex coniuge quel tratto mutualistico funzionale alla realizzazione dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi su cui è ordinato il Matrimonio (Articolo 29 della Costituzione), perfino in seguito alla cessazione degli effetti civili dello stesso.

Dott.ssa Martina Buzzelli