Questioni sociali e rapporti economici…

24.04.2023

Voglio fare una piccola premessa, la Costituzione considera il lavoro come il più importante fenomeno della vita sociale, non solo ponendolo a fondamento della nostra Repubblica, ma attribuendo anche la libertà di scegliere quale attività lavorativa svolgere. La nostra Carta impone allo Stato di promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto del lavoro, garantendo i diritti connessi ad esso e all'attività lavorativa. Si parla tanto di diritto al lavoro, di diritti dei lavoratori, di equa retribuzione che garantisca uno stile di vita libero e dignitoso, di una retribuzione proporzionata al lavoro svolto, di diritto originario allo sciopero che non è creato dalla Costituzione ma ne riconosce l'esistenza… Ciò che mi ha spinta a scrivere questo contributo è stata la riflessione sul benessere del lavoratore, non solo delle funzioni fisiche o dello stato emotivo / psicologico durante l'esecuzione della prestazione di lavoro ma ancor di più la tutela che questo può avere con l'attuazione dei principi costituzionali che vedono il lavoratore quale "bene utile" alla collettività.

Con questo contributo a commento di alcuni articoli del Titolo III della nostra Costituzione voglio "arrivare" a chi, subendo abusi lavorativi, tollera screzi ed ingiustizie "giustificati" dalla necessità e dal bisogno. Dagli articoli 35 a 40 la Costituzione disciplina i rapporti di lavoro, la tutela dei lavoratori, la libertà sindacale e il diritto allo sciopero con l'obiettivo di proteggere i lavoratori in generale ma soprattutto i lavoratori subordinati, che rappresentano la categoria più debole del sistema produttivo in quanto al lavoratore dipendente si impone una condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro.

… La tutela dei lavoratori (Art. 35)

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

Secondo i principi fondamentali della Costituzione, il lavoro è inteso in "qualsiasi attività che concorra al progresso materiale e spirituale della società", in riferimento sia al lavoro subordinato che al lavoro autonomo.

Gli artt. 35 e ss della Costituzione, si riferiscono esclusivamente al lavoro subordinato e mirano alla protezione dei prestatori di lavoro. Tutelare la categoria economicamente più debole significa avvicinarsi al principio di uguaglianza sostanziale auspicato nell' art. 3 spiegando, invero, che la normativa a favore del prestatore subordinato tende a non far deteriorare i rapporti tra capitale-lavoro che, avendo carattere inderogabile, non consente deroghe in peius per il lavoratore alla disciplina del rapporto, nemmeno col suo consenso.

Al secondo comma poi, si afferma l'impegno da parte delle istituzioni di curare la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori al fine di consentire a ciascuno un inserimento nel sistema produttivo.

Cosa significa lavoro subordinato e lavoro autonomo?

Il lavoratore subordinato è una persona che si impegna a prestare il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze dell'imprenditore, mentre il lavoratore autonomo è una persona che si impegna a compiere un'opera o un servizio in cambio di un corrispettivo.

In materia di lavoro il nostro paese ha sottoscritto vari accordi intesi all'affermazione e regolamentazione dei diritti del lavoratore. Si può ricordare, a questo proposito, le convenzioni adottate su iniziativa dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Di rilievo è la Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro adottata il 18 giugno 1998 dalla stessa OIL, la Carta internazionale di Versailles del 1919 aggiornata dalla Dichiarazione di Philadelphia nel 1944, la Carta sociale europea del 1961, sottoscritta dai membri del Consiglio d'Europa, che ne hanno ribadito i criteri minimi applicativi nel Codice europeo di sicurezza sociale del 1964.

L'ultimo comma dell'art. 35 riconosce la libertà di recarsi all'estero per svolgere un'attività lavorativa. Tale libertà si accompagna all'impegno a tutelare il lavoratore italiano all'estero, evitando che sia fatto oggetto di trattamenti sfavorevoli e poco rispettosi dei suoi diritti. Tale tutela si realizza per mezzo di accordi internazionali, come quelli citati nel terzo comma dello stesso art. 35.

La Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie all'art. 2 contiene una definizione di lavoratore migrante specificando che con tale termine ci si riferisce a quelle persone che "eserciteranno, esercitano o hanno esercitato una attività remunerata in uno Stato cui loro non appartengono" e rientrano nella categoria di lavoratore migrante i lavoratori frontalieri, i lavoratori stagionali, la cd. "gente di mare", i lavoratori di una installazione in mare, i lavoratori itineranti, i lavoratori impiegati a titolo di progetto, i lavoratori indipendenti.

Negli ultimi anni si sono verificati importanti cambiamenti nel mercato del lavoro, determinando un adattamento ai nuovi modelli organizzativi delle imprese, che hanno richiesto maggiore flessibilità per poter variare il numero degli occupati a seconda delle esigenze produttive.

Oggi i lavoratori atipici, che intrattengono collaborazioni solo temporanee, sono sempre più diffusi, assunti prevalentemente con contratti a termine, con scadenze prestabilite e legati solo alla realizzazione di un risultato finale.


La retribuzione ed età minima, primo diritto del lavoratore?

Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

L'art. 36 comprende due principi: quello della proporzionalità e quello della sufficienza della retribuzione. Il primo legato alla funzione corrispettiva, e più propriamente al sinallagma contrattuale, il secondo espressione della funzione sociale della retribuzione e, quindi, del valore sociale assegnato al lavoro dalla Carta costituzionale.

Particolare importanza nella disciplina del rapporto di lavoro riveste lo Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) che tutela i diritti del lavoratore nel luogo di lavoro vietando al datore di lavoro di attuare trattamenti discriminatori, di adibire il lavoratore a mansioni inferiori a quelle per le quali è stato assunto e pone delle garanzie per i licenziamenti illegittimi.

La retribuzione dell'attività lavorativa costituisce un'insostituibile fonte di sostentamento per il lavoratore stesso e per la sua famiglia (funzione sociale) ed è per questo motivo che la Costituzione impone al datore di lavoro una retribuzione proporzionata al numero delle ore di lavoro eseguite, al ruolo e al grado di responsabilità.

Il principio per il quale tale retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto costituisce, dunque, un imprescindibile criterio di giustizia, anche dal punto di vista economico. Grazie a questa norma vengono bandite forme di sfruttamento del lavoratore spesso verificatesi in epoche passate. Il lavoro diviene inoltre uno strumento di promozione sociale e umana del lavoratore. Sono i CCNL, cioè gli accordi tra le associazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, a stabilire il minimo retributivo che costituisce la prima ed unica fonte di sostentamento del lavoratore.

Il secondo comma si sofferma su un altro aspetto fondamentale per il lavoratore, il tempo da dedicare giornalmente allo svolgimento delle proprie attività.

È del 1923 la prima regolamentazione legislativa che ha fissato in otto ore tale durata, per un massimo settimanale di quarantotto, tenendo conto del giorno libero. Questo limite ha subito in seguito un ulteriore abbassamento a quaranta ore, fatte salve le specifiche previsioni a tutela di alcune categorie di lavoratori, come i minori e le madri lavoratrici.

Infine, l'ultimo comma dell'Art. 36 della Costituzione, prevede il riposo settimanale che non sempre coincide con il giorno festivo. Tale diritto è garantito, per consentire al lavoratore l'instaurazione di un giusto equilibrio psicofisico, questi deve poter godere di ferie annuali retribuite, usufruibili anch'esse in tempi e modi compatibili con il tipo di lavoro svolto. L'ordinamento garantisce al riposo settimanale e alle ferie retribuite la massima tutela, in quanto esse sono irrinunciabili per il lavoratore.

La reazione degli ordinamenti democratici contro lo sfruttamento dei lavoratori subordinati ed in particolare dei minori, a livello internazionale è regolato dal Patto sui Diritti Civili e Politici che stabilisce il divieto di tenere qualcuno in condizioni di schiavitù o servitù e di esigere lavori forzati o coatti ed il Patto sui Diritti Economici, Sociali e Culturali che richiede agli Stati contraenti di predisporre misure idonee alla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'impiego in attività lavorative che potrebbero nuocere alla loro salute o crescita armoniosa. Nel 1973, poi, l'OIL ha adottato la Convenzione n. 138 sull'Età Minima di Ammissione al Lavoro che impegna gli Stati ratificanti a perseguire politiche volte alla totale abolizione del lavoro minorile, stabilendo nel contempo che nessun individuo può essere ammesso a svolgere qualsiasi tipo di impiego se di età inferiore a quella stabilita per il completamento dell'istruzione obbligatoria e, comunque, non prima dei quindici anni; tale limite di età s'innalza a diciotto anni per ogni attività che possa compromettere, in qualsiasi modo, la salute, la sicurezza o la moralità della persona.

Quella del lavoro minorile è una tutela autonoma differenziata e speciale rispetto alla generica tutela dei lavoratori. L'Art. 37 della Costituzione ha consentito, insieme alla normativa internazionale, di introdurre significative limitazioni nell'impiego della manodopera minorile da parte dei datori di lavoro. In particolare è vietato adibire i minori che non siano "apprendisti" allo svolgimento di lavori pericolosi, faticosi ed insalubri e soprattutto ad essi spetta la stessa retribuzione spettante ai lavoratori adulti, al fine di evitare forme di sfruttamento con la loro presunta inferiore produttività.

Ultimo, ma non meno importante è l'articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo che enuncia:1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

…La libertà sindacale e lo sciopero, tra diritto e legalità

L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. I sindacati sono libere associazioni di lavoratori o di datori di lavoro che operano collettivamente per tutelare i diritti dei loro iscritti. 

La parola sindacato deriva dal greco Sin (insieme) e Dikè (giustizia) e quindi significa "Insieme per la giustizia".

L'art. 39 della Costituzione sancisce, al comma 1, il principio della libertà di organizzazione sindacale e nei commi successivi dispone che ai sindacati non può essere imposto altro obbligo oltre quello della registrazione. Condizione per la registrazione è che i sindacati abbiano un ordinamento interno a base democratica, a seguito di tale registrazione è attribuita ai sindacati personalità giuridica di diritto pubblico e capacità di stipulare, attraverso rappresentanze unitarie in proporzione al numero degli iscritti, contratti collettivi con efficacia erga omnes, (cioè con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori di un settore, iscritti al sindacato e non iscritti).

La libertà sindacale, che rientra nella più ampia libertà di associazione sancita dall'Art. 18, ha un duplice significato:

  • Da un lato, si sostanzia nel diritto del singolo di aderire a un sindacato già esistente, di fondarne uno o di non iscriversi ad alcuno;
  • Dall'altro lato, si esplica nel diritto delle organizzazioni sindacali di svolgere liberamente e senza limiti e controlli la propria attività.

Tuttavia l'Art. 39 ha trovato solo applicazione relativamente al primo comma, poiché la parte restante della disposizione costituzionale, cioè il procedimento della registrazione, con l'acquisto della capacità giuridica, non ha mai ricevuto risposta positiva dall'ordinamento, per il timore che la nascita di una disciplina di dettaglio facesse perdere l'autonomia e la libertà all'azione sindacale.

Quali sono i compiti delle associazioni sindacali?

Nel rispetto del principio del pluralismo sindacale, il loro compito è quello di stipulare contratti collettivi di lavoro, cioè degli accordi tra le associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro per disciplinare nel migliore dei modi le condizioni economiche del prestatore, vincolando non solo gli iscritti all'albo del sindacato, ma tutta la categoria di lavoratori a cui si riferiscono.

In ambito europeo, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Nizza riconosce la libertà di associazione sindacale e il diritto di negoziazione collettiva e di sciopero (artt. 12 e 28).

La fonte normativa più importante dopo la Costituzione, in materia di libertà sindacale, è la L. 300/1970 che ha recepito i principi fondamentali fissati dalla Costituzione stessa, tendendo a garantire l'esercizio della libertà sindacale e predisponendo anche un efficiente apparato sanzionatorio predisponendo, ad esempio, l'art. 14 che prevede il diritto a svolgere liberamente attività e propaganda sindacale nei luoghi di lavoro, l'art. 15 che vieta patti ed atti discriminatori in relazione all'attività sindacale dei prestatori e contro la loro personalità e dignità, l'art. 16 che vieta i trattamenti economici discriminatori, l'art. 17 vieta la costituzione ed il sostegno da parte dei datori a sindacati «di comodo» ossia controllati, anche occultamente, dai datori stessi e l'art. 18 che statuisce l'obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore quando il licenziamento sia giudicato invalido o "non giustificato" dal magistrato e prevede il risarcimento del danno, nonché una sanzione per il caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alla sentenza di reintegrazione.

Orbene, connessa alla libertà sindacale e all'Art. 39 della Costituzione, vi è il successivo Art. 40 che enuncia "Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano" invocando il principale strumento di lotta sindacale che il lavoratore ha a sua disposizione e consistente nell'astensione collettiva dal lavoro, promossa dai sindacati stessi e attuata dai lavoratori con lo scopo di ottenere miglioramenti della situazione economica e delle condizioni di lavoro.

Più precisamente, lo sciopero è un diritto inalienabile e l'ordinamento repubblicano lo riconosce lo riconosce come libertà nei confronti dello Stato, per cui non può integrare un illecito il relativo esercizio, ma anche come diritto. L'esercizio di tale diritto, infatti, determina una sospensione del rapporto di lavoro, non è dovuta la prestazione di lavoro però, in base al nesso di corrispettività del rapporto di lavoro, non è dovuta nemmeno la retribuzione.

Purtroppo, come ogni diritto, anche quello di sciopero incontra dei limiti necessari, oserei dire, mirati a non ledere gli interessi della comunità statale. Invero, strettamente correlato alle limitazioni del diritto di sciopero e l'istituto dei limiti derivanti dall'esercizio dello stesso nell'ambito dei servizi pubblici essenziali che sono considerati tali sono quando sono di interesse generale e diretti a garantire valori fondamentali legati all'integrità della vita e della sicurezza[1].

In conclusione scioperare è un diritto, ma solo se non lede altri diritti garantiti dalla legge o dalla Costituzione. Ecco perché, nel tempo, sono state emanate una serie di norme volte a porre dei limiti allo sciopero selvaggio. Tra queste la più importante è la legge n. 146 del 1990 sui servizi pubblici essenziali, come detto, relativa all'erogazione di prestazioni volte a garantire il godimento dei diritti della persona quali la vita, la salute, la libertà e la sicurezza, la circolazione, l'assistenza e la previdenza sociale.

Dott.ssa Veronica Riggi


[1] Corte cost. 28 dicembre 1962, n. 123