Responsabilità degli enti in materia di reati tributari

07.02.2024

Nel giugno del 2001, è entrato in vigore il D.lgs. n.231 che, scardinato il dogma «societas delinquere non potest», ha introdotto la responsabilità degli enti per illecito amministrativo dipendente da reato.

Tuttavia, solo nel dicembre del 2019, con la L.n.157 di conversione del Decreto fiscale D.L.n.124, alcuni degli illeciti tributari previsti dal d.lgs. 74/2000 sono entrati a far parte del catalogo dei reati presupposto (nuovo art. 25-quinquiesdecies).

In un primo momento, la dottrina si è mostrata ostile dinnanzi alla scelta del legislatore di includere gli illeciti fiscali nel "sistema 231".

Da un lato, si sosteneva che sarebbe emerso da questa applicazione un sistema sanzionatorio eccessivo e sproporzionato, da alcuni definito come «una triplicazione delle sanzioni»[1], qualora al complessivo scenario normativo, già caratterizzato dalle gravose sanzioni fiscali amministrative previste per il contribuente individuale, si fosse aggiunto un ulteriore profilo di responsabilità̀ amministrativa connessa alla responsabilità̀ penale della persona fisica per il reato fiscale.

Ed ancora, si sottolineava come i reati tributari avessero già, in qualche misura, fatto ingresso nella vita dell'ente poiché erano e sono previsti fra i reati-presupposto delitti quali l'associazione a delinquere, il riciclaggio e l'autoriciclaggio, in cui la commissione dell'illecito tributario si può configurare quale scopo della condotta illecita.

Ebbene, Nonostante le opinioni contrastanti, la spinta decisiva è stata data proprio dal Legislatore europeo che, con la Direttiva UE 2017/1371, ha obbligato gli Stati Membri a prevedere la responsabilità degli enti, a fronte della commissione di frodi fiscali, che potessero pregiudicare gli interessi finanziari dell'Unione Europea.

Successivo intervento di riforma si è avuto con il d.lgs.75/2020 con cui si è aggiunto il comma 1 bis dell'art.25 quinquiesdecies che ha inserito ulteriori fattispecie penal-tributarie, quali la dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 74/2000, la omessa dichiarazione ex art. 5 D.lgs. 74/2000, nonché l'indebita compensazione ex art. 10-quater D.lgs. 74/2000.
Per 
quanto riguarda la specifica disciplina della confisca nell'ambito dei reati tributari, la normativa introdotta con la L. 159/19, e integrata successivamente con il D.lgs. 75/2020, recepisce quanto affermato dalle Sezioni Unite nel 2014 con la notissima sentenza Gubert che, per la prima volta, consentiva di aggredire – unicamente con lo strumento della confisca diretta (art. 240 co. 1 c.p.) – il patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dal compimento del reato tributario.

Difatti, originariamente era precluso il ricorso alle diverse tipologie di confisca, con un conseguente grave vulnus di tutela poiché si agiva unicamente nei confronti della persona fisica, mentre non vi era alcuna possibilità di attaccare i beni dell'ente che aveva tratto vantaggio dalla violazione tributaria, nonostante nella maggior parte dei casi il patrimonio dell'ente risultasse decisamente più capiente rispetto a quello della persona fisica.

Dunque, il formante giurisprudenziale ha anticipato, ancora una volta, l'intervento del legislatore che ha reso possibile procedere al sequestro preventivo, ex art. 15 del D.lgs. 231/2001, e alla successiva confisca, ex art. 19, non solo diretta, ma anche per equivalente del profitto o del prezzo del reato che sia nella disponibilità dell'ente.

La cifra complessiva della riforma è stata senza dubbio proprio quella di creare una struttura normativa contraddistinta dalla severità del quadro sanzionatorio, al punto da riesumare il vecchio slogan "manette agli evasori" della L. 516/1982.

A distanza di quasi due anni sono state apportate ulteriori modifiche con il D.Lgs. 156/2022 che, concentrando l'attenzione sul diritto penale tributario, ha modificato le disposizioni di cui agli artt. 6 del d.lgs. (CE) n. 74/2000, in materia di tentativo nei reati dichiarativi in materia di IVA, e 25-quinquiesdecies del d.lgs. 231/2001 al fine di rendere il nostro ordinamento maggiormente conforme alle disposizioni europee in materia di contrasto all'evasione dell'IVA.

In particolare, al comma 1 bis del citato art.6 viene meno il riferimento agli "atti diretti", sostituito con il richiamo alla punibilità "a titolo di tentativo", all'evidenza inteso ad indicare l'integrale applicabilità dell'art. 56 c.p. e, pertanto, la necessità di verificare anche l'idoneità degli atti e la non equivocità della loro direzione.

Il Decreto in esame ha, altresì, modificato la descrizione della condotta illecita, specificando che i "sistemi fraudolenti transfrontalieri" debbano essere «connessi al territorio di almeno un altro Stato membro dell'Unione europea, da cui consegua o possa conseguire un danno complessivo pari o superiore a dieci milioni di euro»; conformandosi a quanto previsto dalla direttiva PIF che inquadra tra i reati «gravi» contro l'UE anche quelli che eguagliano la cifra dei 10 milioni di euro (art. 2 della direttiva PIF) e non solo quelli che la superano.

Nonostante la portata innovativa dovuta all'introduzione della nuova categoria di reati presupposto, ulteriori dubbi sono stati sollevati dalla dottrina più autorevole secondo cui, nei confronti degli enti collettivi, il sistema penale risulta soltanto in parte premiale/riscossivo, mentre per altra parte giunge a punire l'ente nonostante il ravvedimento operoso.

Invero, anche se l'impegno a pagare da parte dell'ente contribuente determina la non operatività della confisca, in caso di integrale pagamento degli importi dovuti non è prevista la non punibilità dell'illecito tributario, trovando applicazione L'art.8 comma 1 lett.b d.lgs. n. 231/2001 a norma del quale la responsabilità dell'ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.

Al fine di ovviare a questa «irragionevolezza»[2] sono state suggerite due alternativa.

Da un lato, si è fatto ricorso al rimedio interpretativo, basato sulla ratio riscossiva del sistema penale tributario, per cui il citato art.8 non opererebbe rispetto alla causa di non punibilità dei reati tributari, dovendosi trattare allo stesso modo i due sistemi, "umano" e dell'ente.

In alternativa, vi è chi prospetta una questione di legittimità costituzionale dell'art.13 d.lgs. n.74/2000, nella parte in cui non è applicabile agli enti Responsabili ai sensi del D.Lgs. n.231/2001. [3]

Ulteriore problematica dovuta all'introduzione dell'art. 25-quinquiesdecies riguarda la potenziale esistenza di una violazione del principio del ne bis in idem posto che la persona giuridica, in presenza di una medesima condotta delittuosa, potrà essere sanzionata tanto in sede fiscale quanto in sede penale secondo quanto dispone il d.lgs. n.231/2001.

Ebbene, anche per ovviare a questo inconveniente esistono due strade.

Da un lato, si può operare in via interpretativa, dando direttamente applicazione ai principi di diritto stabiliti in tema di ne bis in idem dalla copiosa giurisprudenza della Corte EDU, della Corte di giustizia, della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione.

In alternativa, parte della dottrina prospetta una questione di legittimità Costituzionale dell'Art.187-Terdecies D.Lgs. 58/1998, cui viene attribuito il compito di "mitigare" la doppia inflizione delle sanzioni (amministrativistiche e penali) previste nel nostro ordinamento in tema di abusi di mercato, nella parte in cui non è applicabile alla responsabilità degli enti.

Dott.ssa Francesca Saveria Sofia

[1] I. Caraccioli, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Resp. amm. Soc. ed enti, 2007, 1, 155, il quale paventava una "triplicazione delle sanzioni, con "un plus dal contenuto abbastanza vessatorio"

[2] R. Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza in Sistema Penale, 2020

[3] Pag. Veneziani, Problemi attuali in tema di responsabilità dell'ente da reato tributario in Cassazione penale – n.9 – 2020