Scriminante sportiva: tra consenso dell’ avente diritto e volontaria esposizione al pericolo

24.03.2023

Nello svolgimento di attività comuni come quelle sportive, può accadere che chi agisce si esponga volontariamente al pericolo se l'attività commessa è intrinsecamente pericolosa (ad es. arti marziali) o lo può diventare occasionalmente (es. partite di calcetto).

Ci si è domandati che ruolo svolga la volontaria esposizione da parte dell'agente, nell'ipotesi in cui si verifichi un evento lesivo.

Questo è un tema che a volte si intreccia con il consenso dell'avente diritto in rapporto ai reati colposi: cioè se il consenso possa operare anche per tali reati e, se sì, in che misura, e in che ambito.

Il punto di riferimento a tal fine è l'articolo 5 del codice civile, che pone i limiti per gli atti disponibili del proprio corpo, e che comporta l'irrilevanza del consenso se vengono in rilievo beni indisponibili, come salute e vita.

Se il consenso riguarda beni indisponibili dunque è irrilevante, si integrerà un reato colposo e l'esposizione al pericolo non avrà alcuna importanza.

Spesso gli Autori ritengono che ciò sia un falso problema, perché l'ordinamento mediante reati colposi tutela spesso beni indisponibili (salute, vita etc.) con conseguente irrilevanza del consenso.

Pertanto, secondo l'orientamento tradizionale, un evento lesivo cagionato durante, ad esempio, una partita sportiva, se riguarda il bene salute, o addirittura vita, può integrare reato colposo o doloso a seconda della volontarietà o meno dell'evento.

Ciò ha comportato delle critiche, perché incide negativamente sull'attività sportiva, soprattutto se basata sul contatto fisico. Infatti, se si sostiene che l'esposizione volontaria al pericolo, e quindi l'equiparazione al consenso dell'evento lesivo, operi solo nei limiti del bene disponibile, allora il consenso avrà un ambito di applicazione molto ristretto. 

Si finirebbe per perseguire eventi lesivi che sono diretta conseguenza dell'attività sportiva posta in essere.

Per tale motivo, al fine di tutelare lo svolgimento di attività sportive che sono fondamentali per lo sviluppo della personalità individuale e per la società, la giurisprudenza ha elaborato la c.d. scriminante sportiva, definita come una scriminante atipica diversa dal consenso dell'avente diritto: si fonda comunque sulla partecipazione consapevole e volontaria, motivo per cui a certe condizioni, che verranno esplicitate di seguito, la giurisprudenza ritiene il fatto non antigiuridico.

Tale scriminante si fonda sulla volontaria esposizione al pericolo, ritenuta differente dal consenso dell'avente diritto di cui all'art. 51 del codice penale

Trattandosi di attività sportiva consapevole, si accetta il pericolo che possa derivare un evento lesivo nel suo svolgimento: ciò vale anche se si superano i limiti del consenso sanciti dall'articolo 5 del codice civile, superando quindi l'orientamento tradizionale che poneva questi limiti come insuperabili.

Oltre al consenso, ulteriore condizione è il rispetto delle regole. Sarebbe, infatti, contraddittorio per l'ordinamento se da un lato si autorizzasse l'attività a quelle regole, e poi dall'altro si sancisse la responsabilità penale per l'evento che si è verificato.

Se l'evento, dunque, si verifica nonostante il rispetto delle regole, si rientra nell'ambito del rischio consentito e quindi non si incorre in responsabilità penale.

Tuttavia, si è rilevato che nelle attività sportive la violazione delle regole è frequente e in qualche modo fisiologica e connaturata al suo svolgimento, pertanto non si può far discendere responsabilità penale ogni qualvolta si superino le regole di gioco. Si deve operare una distinzione, fondata sulla volontarietà o meno della violazione delle regole. 

Se è fisiologico sviluppo dell'azione, e la violazione non è voluta, non potrà integrarsi alcuna responsabilità penale.

Si dà rilievo, quindi, al consenso della "vittima" perché accettando lo svolgimento dell'attività sportiva, accetta che vi possa essere come conseguenza un evento lesivo non integrante reato perché posto in essere a seguito di violazione involontaria della regola di gioco.

Se, invece, la violazione della regola di gioco è volontaria si deve distinguere tra responsabilità penale dolosa o colposa. La distinzione operata dalla giurisprudenza si incentra sulla causazione dell'evento, se sia occasionata o meno dallo sviluppo del gioco. Se, ad esempio, a gioco fermo si sferra un pugno verso un altro giocatore, allora la responsabilità sarà dolosa poiché totalmente svincolata dal gioco.

Recentemente (deposito sentenza 2022) la giurisprudenza ha cambiato orientamento, ritenendo che il discrimen non fosse la volontaria violazione delle regole del gioco e l'occasionalità dell'evento, bensì la prevedibilità dello stesso.

Se l'evento è prevedibile ci può essere responsabilità penale. Le regole del gioco e quelle cautelari operano su due piani differenti. Quelle del gioco hanno ad oggetto l'azione, mentre quelle cautelari l'evento; non sono, pertanto, pienamente coincidenti. 

Ne consegue che anche se vi è violazione delle regole del gioco, per integrare responsabilità penale si deve sempre accertare la prevedibilità dell'evento (verificare, quindi, il c.d. elemento psicologico della colpa penale).

Alla luce di quanto esposto può accadere, quindi, che ci siano violazioni di regole sportive ma non di regole cautelari e che ci sia un illecito sportivo ma che non ci sia imprudenza, negligenza o imperizia perché non c'è stata violazione di regole cautelari o, viceversa, che ci sia una condotta conforme alla regola sportiva ma che sia commessa negligentemente, imprudentemente e quindi, sostanzialmente, ci sia colpa.

Le regole cautelari interferiscono con le regole sportive ma sono due piani diversi; non si sovrappongono poiché, secondo quanto anticipato, può esserci violazione della regola di gioco e imprevedibilità dell'evento, così come può non esserci violazione della regola di gioco ma prevedibilità dell'evento.

Tale orientamento consente di superare anche un altro filone giurisprudenziale che distingueva tra violenza necessaria e proibita a seconda del tipo di attività, fondando la scriminante sulla volontaria esposizione a pericolo e correlativo consenso (trattasi tuttavia di scriminante atipica). In particolare si sosteneva che l'evento fosse scriminato se commesso nell'esercizio dell'attività sportiva, che anche se connotata da violenza, rientrasse in quella consentita dalla volontaria esposizione al pericolo. Infatti, si integrava il reato solo se si trasmodavano le modalità nell'esercizio sportivo. 

I giocatori consci della pericolosità dell'azione sportiva, accettano il rischio dell'evento lesivo cagionato nel rispetto delle regole, o comunque nella loro violazione che avvenga, però, in modo del tutto proporzionato, rimettendo all'arbitro la decisione dell'antigiuridicità del fatto, il quale rientrava nel rischio lecito salvo che trasmodasse dall'ordinamento sportivo a quello generale (ex multis Cass. 9559/2016).

Tale orientamento è ormai superato, prendendo piede quello esplicitato sopra che non opera la suddetta distinzione.

Il consenso, quindi, non ha più rilevanza nell'ambito della scriminante sportiva. 

Secondo questo nuovo orientamento ciò che rileva è la prevedibilità dell'evento, superando, quindi, la volontaria esposizione al pericolo.

Dott. Gianmarco Meo e Dott. Egidio Pio Antonuccio