Svolgimento dell’attività giudiziale e responsabilità dell’avvocato
Cass. civ., Sez. VI - 2, 18 Febbraio 2022, n. 5440
"Lo svolgimento di un'attività professionale, da parte dell'avvocato, totalmente inutile, già "ex ante" pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso".
Questo è quanto affermato dagli Ermellini nell'ordinanza n. 5440 del 18/02/2022.
Orbene, norma portante relativamente alla responsabilità dell'avvocato è l'art. 2236 c.c. che prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non il caso di dolo o colpa grave.
Ma facciamo un passo indietro…
In materia di responsabilità civile dell'avvocato, le norme che vengono in rilievo sono contenute segnatamente nel codice civile, nella legge professionale forense e nel codice deontologico.
Tra le norme del codice civile vengono in rilievo, oltre l'art. 2236, l'art. 1176 e l'art. 1218.
L'art. 1176 c.c. prevede che nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia e che nell'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. Prendendo a riferimento il comma II della disposizione, nell'ipotesi in cui l'obbligazione abbia ad oggetto l'esercizio di un'attività professionale, il livello medio di diligenza richiesto dal debitore si alza, in quanto è parametrato alla specifica attività esercitata. La stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 5429 del 26/02/2021 ha affermato che "l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi dell'Artt. 2236 e 1176 del Codice Civile, in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed in genere nei casi di imperizia e negligenza, compromettendo il buon esito del giudizio" , responsabilità che invece non sussiste nel caso dell'interpretazione delle disposizioni di legge, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Sostanzialmente dice la Corte, "l'inadempimento non può essere attribuito all'avvocato per il mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente, ma solo dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività professionale esercitata".
Rientra nel comportamento diligente dell'avvocato il dovere di informazione, difatti, nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, si impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto di conferimento di mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, i doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione al cliente, essendo tenuto a rappresentare quest'ultimo per le questioni di fatto e di diritto che lo riguardano.
La violazione del dovere di informazione costituisce un inadempimento contrattuale ed espone l'avvocato alla conseguente responsabilità. Inoltre, il mero rilascio della procura, necessaria all'esercizio dello ius postulandi, non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio.[1]
Ipotesi di responsabilità dell'avvocato possono essere, oltre la violazione della diligenza professionale, l'omessa informazione al cliente della possibilità che venga eccepita la prescrizione, l'omessa o tardiva proposizione dell'impugnazione di un atto, la mancata indicazione di elementi probatori, il mancato compimento di atti interruttivi della prescrizione dato che non richiedono particolare capacità tecnica, l'uso di mezzi difensivi pregiudiziali per il cliente, imperizia ed errata strategia giudiziale… in particolare, una sentenza della Corte di Cassazione, non di certo recente, la n. 15717 del 2010 ha affermato che "nel caso di controversie di particolare difficoltà, tali da esporre il cliente ad un forte rischio di soccombenza, l'attività dell'avvocato deve essere svolta diligentemente, al fine di limitare il pregiudizio del cliente". Il legale, quindi, non può accettare una causa che ritiene non vincente e poi, disinteressarsene sul presupposto che non vi sia possibilità di ottenere un esito favorevole. L'avvocato deve attivarsi cercando una soluzione anche transattiva, ove possibile. In caso di assoluta inerzia, si configura la responsabilità professionale, giacché, con il suo comportamento, l'avvocato ha esposto il cliente ad un pregiudizio.
Stante le affermazioni sopra riportare, viene in evidenza l'art. 1218 c.c. che riguarda la responsabilità per inadempimento. In tema di obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale dell'avvocato, vige la regola del "più probabile che non", destinata a trovare applicazione nel principio di "oltre ogni ragionevole dubbio" che regola la responsabilità penale. Tale criterio però potrebbe essere tenuto in considerazione in caso di condotta omissiva dell'avvocato che abbia avuto una causale diretta alla determinazione del danno, in assenza di fattori alternativi.
Ma qual è il contratto che conferisce incarico all'avvocato?
"L'incarico affidato al difensore, pur rientrando nella più ampia categoria del mandato quale assunzione dell'obbligazione di compiere atti giuridici (aventi cioè la capacità di produrre effetti di quel tipo), è, in ragione delle specifiche caratteristiche che connotano l'attività professionale, oggetto dell'obbligazione disciplinata dagli art. 2229 e ss. c.c." (Cass. Ord. 185/2020)
L'art. 2229 disciplina l'esercizio delle attività professionali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. Per la prestazione svolta all'avvocato spetta un compenso professionale che se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene. A tal proposito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5892 del 23/02/2022 ha dato per certo che all'avvocato che pattuisce con il cliente un compenso a tempo, non spetta il compenso intero per le frazioni di ora.
Per il cliente, ai fini della quantificazione del danno non è sufficiente dimostrare l'omissione di un atto dovuto ma è necessario effettuare un giudizio controfattuale al fine di valutare cosa sarebbe accaduto se l'atto omesso fosse stato realizzato. Il cliente danneggiato deve dimostrare di aver patito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, venendo in rilievo anche la perdita di chance che esprime il concetto di "buona probabilità di riuscita" e nella sua accezione di lucro cessante va configurata come un'occasione persa, risarcibile solo se il danneggiato provi che in assenza dell'inadempimento il risultato sarebbe stato raggiunto, mentre nella sua accezione di danno emergente configura una lesione da perdita attuale e dunque non è considerata come un'occasione persa ma come una perdita di possibilità di realizzare un'occasione.
Per quanto riguarda la prescrizione e la decadenza per l'esercizio dell'azione, stante che è una responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., il termine prescrizionale è decennale e la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24270 del 3/11/2020 ha affermato che "In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per inadempimento al mandato difensivo in ambito giudiziario, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l'evento dannoso, bensì da quello nel quale essa è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla formazione del giudicato; al contrario, tale decorrenza non è prospettabile nel diverso caso di inadempimento del mandato professionale in ambito stragiudiziale". [2]
[1] Cass. 14597/2004; Cass. 7708/2016
[2] Tale principio, ha sottolineato la Corte, riguarda non solo l'avvocato ma tutti i professionisti che prestano assistenza nel giudizio al proprio mandante.