Testimone o indagato? alcuni chiarimenti sul caso Ruby-ter

20.02.2023

Con nota del 15 febbraio 2023, il Tribunale di Milano ha anticipato le ragioni dell'assoluzione di diversi imputati nel Procedimento c.d. Ruby-ter in cui erano contestati vari reati, tra i quali quelli di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.

In particolare, da ciò che si evince nella nota, la ratio di fondo della decisione del Tribunale consiste nella qualifica attribuibile alle varie persone che hanno reso dichiarazioni nei procedimenti Ruby 1 e Ruby 2. Infatti, poiché i reati contestati presuppongono la qualifica di testimone - per il reato di falsa testimonianza - e di pubblico ufficiale del corrotto - per il reato di corruzione in atti giudiziari - l'assenza di tali qualifiche comporta l'insussistenza del reato.

Come anticipato nella citata nota, il giudicante ha ritenuto che le varie imputate «non potevano legittimamente rivestire l'ufficio pubblico di testimone nei procedimenti cd. Ruby 1 e Ruby 2». Infatti, come si legge sempre nella citata nota, costoro risultavano «sostanzialmente indagate in reato connesso».

Cerchiamo perciò di chiarire tali aspetti, per quel che concerne i profili di maggiore rilevanza mediatica, per come emersi nella citata nota e come saranno poi verosimilmente esternati nella motivazione.

Tra le prove previste nel Codice di procedura penale vi sono quelle orali che, tra le altre, consistono nelle dichiarazioni rese da persone che hanno assistito al fatto contestato o possono riferire su fatti specifici idonei a qualificare la personalità del reo ai fini del reato e della pericolosità sociale. Tali soggetti dichiaranti o sono estranei al fatto di causa, e allora sono qualificabili come testimoni; oppure possono essere coinvolti nel fatto di causa o in un altro fatto strettamente connesso a quello di causa.

Per quanto riguarda quest'ultima casistica, si fa riferimento alla figura del testimone assistito, di cui all'art. 197-bis c.p.p., e alla figura di persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, di cui all'art. 210 c.p.p.

Tali figure si collocano in una posizione intermedia tra quella di imputato - rectius, nello specifico processo relativo al fatto contestato - e quella di testimone. Infatti, per un verso, lo specifico processo penale non è a loro carico; per altro verso, tali persone non possono neppure essere considerate totalmente estranee, perché coinvolte o nello stesso fatto, o in altro fatto strettamente connesso al primo.

Tralasciando le differenze tra la figura di testimone assistito e persona indagata o imputata in procedimento connesso o collegato, le citate disposizioni prevedono per entrambe le figure una serie di garanzie in ragione della loro particolare posizione.

Infatti, il legislatore ha avuto cura di assicurare a tali persone varie tutele, tra le quali le più importanti sono rappresentate dal diritto di farsi assistere da un difensore e dalla facoltà di non rispondere su fatti che potrebbero pregiudicare la propria posizione.

È opportuno precisare in merito che in più occasioni la giurisprudenza di legittimità[1] ha stabilito, adottando sul punto una lettura ispirata a un maggiore garantismo, che la nozione di indagato deve essere intesa in senso sostanziale, e non solo formale.

In altri termini, le citate garanzie devono trovare applicazione anche quando dagli atti del procedimento è possibile ricavare indizi non equivoci a carico di tali persone.

Ebbene, a quanto si legge nella nota citata in apertura, tali garanzie non sarebbero state rispettate nei vari procedimenti Ruby 1 e Ruby 2. Le persone in questione non potevano essere sentite come testimoni proprio perché negli atti del procedimento vi erano indizi non equivoci a loro carico. Ne conseguiva che tali soggetti ricoprivano la posizione di sostanziale di indagato in procedimento connesso o collegato.

Fatta questa premessa, ne derivano le seguenti logiche conseguenze:

  • il giudice ha ritenuto che il reato di falsa testimonianza non fosse integrato, poiché l'art. 384, comma 2, c.p. esclude la punibilità nei confronti del soggetto che non poteva essere sentito in veste di testimone. In particolare, ciò avviene anche quando il soggetto è sostanzialmente indagato in procedimento connesso o collegato;
  • il giudice ha altresì ritenuto che, se le persone non potevano essere testimoni, non potevano essere neppure ritenute pubblici ufficiali. Perciò, difettando il requisito della qualifica soggettiva del soggetto corrotto secondo l'ipotesi accusatoria, non poteva sussistere il delitto corruttivo neppure in relazione al soggetto da identificate nel corruttore secondo l'ipotesi accusatoria.

Queste sono le ragioni che hanno portato, secondo quanto emerge nella nota, il Tribunale di Milano alla pronuncia assolutoria. Profili che erano rilevanti sia sul piano processuale, concernenti la qualifica di testimone nei primi procedimenti Ruby di alcune persone imputate poi nel procedimento Ruby-ter; sia sul piano sostanziale, poiché la qualifica di testimone è condizione necessitata per l'integrazione dei reati di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.

Così ricostruite le ragioni dell'esito del processo di primo grado, si deve attendere il deposito delle motivazioni per comprendere quali fossero questi «elementi non univoci» della sostanziale veste di indagato delle persone imputate nel procedimento Ruby-ter. Infatti, si può verosimilmente immaginare che, in caso di impugnazione da parte della Pubblica Accusa, quest'ultima contesterà proprio la conoscenza dello stato sostanziale di indagato o la non equivocità degli elementi indiziari a carico.

Dott. Marco Misiti

[1] Sul punto si veda Cass. pen., Sez. U, n. 15208 del 21/04/2010. Per una pronuncia più recente, si veda Cass. pen., Sez. 5, n. 39498 del 03/11/2021. 

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