La trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare

02.10.2023

E' ormai piuttosto chiaro che in seno ad un processo di separazione, sia essa consensuale o anche giudiziale, una delle tematiche affrontate, nonché si potrebbe dire, una delle più scottanti, è relativa all'assegnazione della casa familiare.

Il nostro ordinamento, con l'intento di tutelare l'interesse dei figli, prevede che la casa familiare[1] venga assegnata al coniuge collocatario, e quindi al coniuge presso cui sono prevalentemente collocati i figli.

Proprio relativamente ai figli vanno opportunamente poste delle precisazioni.

Erroneamente, infatti, si ritiene che una volta raggiunta la maggiore età ai figli non spetti più il mantenimento o la casa familiare.

Ebbene, non vi è convinzione più errata. Il codice civile, infatti, già nell'art.147 c.c., pone in capo ai genitori "l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni", rimandando alla disposizione di cui all'art.315-bis c.c., che disciplina i diritti e doveri dei figli, tra i quali spicca proprio il diritto al mantenimento.

Il godimento di tale diritti persiste fino al raggiungimento della autosufficienza economica, e quindi va anche oltre il raggiungimento della maggiore età a meno che il genitore non fornisce la prova che il figlio maggiorenne è divenuto economicamente indipendente.

In relazione, quindi, ai diritti spettanti ai figli minorenni, e ai figli maggiori non economicamente autosufficienti o portatori di handicap, rientra anche quello di continuare ad abitare la casa coniugale sia se è di proprietà esclusiva del coniuge non collocatario, sia se è in comproprietà.

La ratio della scelta del legislatore di permettere alla prole di continuare a vivere nella casa familiare è da ricercare nella volontà di consentire loro di mantenere uno stile di vita stabile e in continuità con quello che aveva prima dello scioglimento del nucleo familiare, pertanto, in automatico, in assenza di figli minori o maggiori non indipendenti economicamente, non vi è ragione di assegnare la casa familiare.

Il provvedimento di assegnazione deve essere trascritto in modo da renderlo opponibile a terzi restando ugualmente efficace anche in caso di possibile alienazione dell'immobile.

Per procedere alla trascrizione dell'assegnazione saranno necessari alcuni documenti specifici come:

  • atto di acquisto dell'immobile (rogito notarile) con i relativi dati catastali;
  • copia autentica (ad uso trascrizione) del provvedimento che stabilisce, in costanza di separazione, l'assegnazione della casa e quindi si parla o del verbale di separazione consensuale omologato, o della sentenza di divorzio, o del decreto di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, o del provvedimento di affidamento dei minori ex art. 337 bis c.c.;
  • nota di trascrizione da presentare all'ufficio competente dell'Agenzia del Territorio (Conservatoria dei registri immobiliari).

In assenza della trascrizione dell'assegnazione, sembra consolidato l'orientamento della Suprema Corte, secondo cui, il provvedimento è opponibile solo per il termine di 9 anni dall'emissione del provvedimento stesso.

Ma cosa accade all'assegnazione della casa familiare se il genitore collocatario instaura una convivenza more uxorio? La risposa può non essere così scontata, infatti, il provvedimento di assegnazione non decade in automatico è necessario piuttosto che, essendo esso emesso per tutelare i figli, il giudice, compia una valutazione per esaminare il reale interesse dei figli.

E', inoltre, esclusa la possibilità per il coniuge non collocatario e comproprietario, di pretendere un pagamento dal convivente proprio in ragione del fatto che l'assegnazione della casa non è intervenuta per tutelare il coniuge, bensì i figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti o portatori di handicap.

Sul punto, infatti, emblematica è stata la Sentenza della Corte d'appello di Torino, la n. 79/2020, che ripercorrendo il percorso logico-giuridico della Suprema Corte di Cassazione, così ha ritenuto "…fino a che tale diritto sussiste in capo al coniuge collocatario della prole, in mancanza dell'accertamento delle circostanze legittimanti la revoca dell'assegnazione …deve escludersi che il coniuge comproprietario abbia titolo per chiedere indennità di occupazione al convivente "more uxorio" della moglie separata; ciò in quanto il diritto di godimento del comproprietario non assegnatario è venuto temporaneamente meno a causa dell'assegnazione dell'alloggio all'altro coniuge comproprietario … e non per il fatto che il convivente "more uxorio" del coniuge assegnatario abiti nell'immobile…".

Ciò posto, in conclusione, si denota che il diritto di assegnazione della casa familiare, altro non è che una forma di tutela posta nei riguardi dei figli, affinché essi possano continuare a godere di uno stile di vita stabile e continuativo che permetta loro di seguitare a frequentare i loro centri di interesse principali.

Dott.ssa Martina Carosi


[1] Il termine "casa familiare" con il tempo è andato a sostituire il termine "casa coniugale", seppure, naturalmente tendono a riferirsi alla medesima cosa.