Tutela dell’affettività: i colloqui con i detenuti

27.01.2024

L'art.18, cui va aggiunto l'art.37 reg. esec., regolamenta i colloqui dei detenuti e internati con i coniugi e con altre persone.

In particolare, gli "interlocutori" da prendere in considerazione sono:

  • i familiari, ricomprendenti il coniuge, la persona che conviveva stabilmente con lui prima della carcerazione o che a lui era legata da unione civile (art.1 co. 20 L.76/2016), e tutti coloro che vantano un rapporto di parentela o affinità entro il quarto grado.

Il comma 4 dell'art.18 prevede espressamente che debba essere accordato "particolare favore" ai colloqui con i familiari, affinché anche attraverso questo canale sia possibile contribuire al mantenimento, al miglioramento ed alla reintegrazione delle relazioni dei detenuti con le persone più care.

  • le "altre persone" ovvero quanti, al di fuori della cerchia familiare, sono legati al detenuto da rapporti affettivi o di amicizia, oppure coloro che il detenuto ha necessità di incontrare per il compimento di atti giuridici (come potrebbe essere un notaio).

Per costoro l'autorizzazione viene concessa "quando ricorrono ragionevoli motivi", dunque, si tratta di un riconoscimento che dipende da una valutazione ampiamente discrezionale dell'autorità competente.

  • Il difensore, con cui il colloquio si svolge senza limiti fin dall'inizio dell'esecuzione della pena o della custodia cautelare, in quest'ultimo caso fatte salve le limitazioni stabilite dall'art.104 c.p.p. o dell'esecuzione della pena.

In tal modo, viene garantito il diritto di difesa, definito "inviolabile" dall'art.24 comma 2 Cost.

  • Il diritto di colloquio con i Garanti è stato, invece, modificato dal D.lgs. 123/2018.

La nuova formulazione del citato articolo fa riferimento a tutti i garanti, senza alcuna distinzione, e rende i colloqui fruibili indipendentemente dai limiti previsti per i colloqui con i familiari.

La normativa generale, però, non si applica ai soggetti sottoposti al regime di carcerazione previsto dall'art.41 bis o.p.. In particolare, la differenza fra i colloqui con i difensori e quella con i garanti è rinvenibile nel comma 2 quater, lett b, dell'art.41 bis laddove esso esclude il controllo auditivo e la registrazione per i colloqui con i difensori, ma non estende tale previsione ai garanti. Tali ultimi colloqui restano, dunque, equiparati a quelli con i familiari.

Non ricadono sotto la disciplina in esame gli incontri con i soggetti che fanno ingresso in istituto ai sensi degli artt.17 e 78, con i ministri di culto, con il sanitario di fiducia e, ovviamente, quelli con gli operatori penitenziari e le autorità giudiziarie.

I detenuti e gli internati possono usufruire di sei colloqui al mese, comprensivi di quelli con i familiari e di quelli con altre persone e prescindendo da ogni valutazione discrezionale sulla condotta e sulla partecipazione al trattamento.

Riguardo alle modalità di svolgimento il comma 3 dell'art.18 o.p. stabilisce che i colloqui si svolgano in appositi locali, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.

Se non ci sono particolari ragioni di sicurezza o sanitarie, il colloquio avviene senza vetro divisorio.

Il contatto fisico tra il detenuto e il familiare, condizione indispensabile per assicurare un trattamento conforme al senso di umanità, non deve essere tuttavia strumentalizzato dal detenuto. La polizia penitenziaria ha, difatti, il potere di sospendere cautelativamente il colloquio se le persone tengono comportamenti scorretti o molesti.

Il colloquio ha la durata massima di un'ora.

Il comma 9 e il comma 10 dell'art.37 reg.esec. prevedono, però, la possibilità di raddoppiare la durata di un singolo colloquio (ad esempio quando i familiari risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto), nonché la concessione di colloqui straordinari se il detenuto è gravemente infermo, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a 10 anni, ovvero quando ricorrano particolari circostanze, come potrebbero essere le festività natalizie.

Il numero di colloqui per il detenuto minore e giovane adulto è maggiore poiché l'affettività riveste, per tali soggetti, particolare importanza anche in ragione del potenziale sviluppo della loro personalità, la cui costruzione è spesso in itinere.

Hanno diritto a otto colloqui mensili della durata non inferiore a sessanta minuti e non superiore a novanta, di cui almeno uno da svolgersi in un giorno festivo o prefestivo, con i congiunti e con le persone con cui sussiste un significativo legame affettivo (art.19 d.lgs. n.121/2018).

Invece, per gli appartenenti alla criminalità organizzata il numero dei colloqui diminuisce; tant'è vero che i detenuti per uno dei delitti previsti dall'art.4 bis comma 1 possono usufruire di un massimo di quattro colloqui al mese, mentre i sottoposti al regime di cui al 41 bis ne hanno a disposizione uno.

Riguardo alle competenze in ordine all'autorizzazione dei colloqui, l'art.18 comma 8 o.p., prevede, salvo quanto disposto dall'art.18 bis (colloqui investigativi), che per gli imputati la competenza spetta all'Autorità giudiziaria che procede, fino all'emanazione della sentenza di primo grado, e, dopo tale momento, al direttore dell'istituto.

Infine, doveroso è il richiamo alle recentissima sentenza n.10/2024 con cui la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata da un Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina, né, riguardo all'imputato, ragioni giudiziarie.

«L'ordinamento giuridico» – ha affermato la Corte – «tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l'essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società».

Dott.ssa Francesca Saveria Sofia