Usucapione e comodato d’uso familiare: posso usucapire la casa dei miei genitori?
Per poter dare una risposta alla nostra domanda, analizziamo gli istituti fondamentali richiamati.
La nozione di usucapione, quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario, la si trova all'art. 1158 c.c. "è un modo di acquisto dei diritti reali su beni mobili e beni immobili per effetto del possesso continuo e ininterrotto per i periodi di tempo stabili dalla legge."
L'art. 1158 c.c. disciplina in via generale l'istituto prevedendo che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.
Fondamenta dell'usucapione è il possesso ossia il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà (art. 1140 c.c.).
Il possesso si compone di 2 requisiti:
- oggettivo (eventuale) del corpus ossia la materiale apprensione della res;
- soggettivo (necessario) dell'animus possidendi che si sostanzia nella volontà di utilizzare la cosa come proprietario.
È il requisito soggettivo dell'animus che distingue il possesso dalla detenzione.
Il detentore ha il corpus, ma ne riconosce l'altrui diritto. Manca, o meglio, difetta, l'animus possidendi, sussistendo invece il cosiddetto animus detinendi.
I poteri del detentore derivano da un titolo (es locazione) mentre quelli del possessore dal fatto stesso di esercitarli.
Il mutamento della detenzione in possesso è possibile e può avvenire o in caso di mutamento del titolo (es: locazione in donazione o in compravendita) o in ipotesi di opposizione contro il possessore (es: il conduttore non paga il canone)à Si parla in tal caso di interversione del possesso.
QUALI SONO I PERIODI DI TEMPO NECESSARI PER USUCAPIRE?
- usucapione su beni immobili e universalità di mobili il possesso deve protrarsi per venti anni (artt. 1158 e 1160 c.c.);
- beni mobili posseduti senza titolo astrattamente idoneo all'acquisto del diritto il possesso deve protrarsi per dieci anni, se acquistato in buona fede, venti anni, se acquistato in mala fede (1161 c.c.);
- beni mobili posseduti con titolo astrattamente idoneo all'acquisto del diritto e in buona fede l'acquisto è immediato ex articolo 1153 c.c;
- beni mobili registrati se l'acquisto è avvenuto in buona fede e in base a un titolo astrattamente idoneo, l'usucapione si verifica dopo tre anni dalla trascrizione del titolo, dieci anni, mancando questi elementi (art. 1162 c.c.).
I termini per usucapire possono essere abbreviati in caso di:
- possesso sia iniziato in buona fede;
- un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, o altro diritto reale di godimento;
- il titolo sia stato trascritto.
Il contratto di comodato è un negozio dove una parte (comodante) consegna all'altra (comodatario) un bene, affinché se ne serva per un tempo ed un uso determinato, con l'obbligo di restituire la cosa ricevuta (art. 1803 c.c.) e il bene concesso in comodato può essere mobile o immobile.
Il contratto di comodato è un negozio gratuito, in cui non è previsto il pagamento di alcun corrispettivo. Per questa ragione, il comodatario, ossia il soggetto che riceve il bene, non ha diritto al rimborso per le eventuali spese affrontate per servirsi della cosa (art. 1808 c. 1 c.c.).
Egli, inoltre, è tenuto a conservare il bene con la diligenza del buon padre di famiglia.
Orbene, nel caso di un immobile conferito dal genitore al figlio in comodato d'uso familiare, in vista di un matrimonio, l'animus che ha il comodatario è detinendi.
Infatti, colui il quale riceve l'abitazione riconosce la titolarità del genitore e, nonostante decorrano vent'anni, non potrà usucapire difettando il requisito principe del possesso.
Ma…. Stante quanto abbiamo detto sopra, ovvero che la detenzione può mutare in possesso, può verificarsi qui la cd. Interversione del possesso? Il figlio può esercitare diritti connessi al diritto di proprietà? Se si, interverrà l'Usucapione?
È complesso dare risposta a queste domande, ma non impossibile.
Il punto focale della questione è il rapporto parentale che intercorre tra comodante e comodatario.
Tale vincolo, infatti, va a determinare una presunzione di tolleranza degli atti compiuti dal figlio per via dello spirito di genitorialità, amore paterno/materno, senza che ciò solo possa implicare disinteresse del proprietario nei confronti del bene.
Aggiungo che anche la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sull'argomento, affermando "che l'esercizio di attività sul bene per lungo tempo lasciano supporre il disinteresse del titolare. In materia di acquisto per usucapione di diritti reali immobiliari, poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza."[1]
Invero, è differente il caso in cui il proprietario sia parente stretto dell'utilizzatore. In questo caso, la reiterazione di tali attività, senza opposizione del genitore, si presume, sempre, che sia avvenuta per tolleranza. Anche qui, sulla questione la Corte di Cassazione ha statuito che "in materia di usucapione, nell'indagine diretta a stabilire se una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza ex art. 1144 c.c., e sia, perciò, inidonea all'acquisto mediante possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo della esclusione di detta situazione di tolleranza e della sussistenza di un vero e proprio possesso. Tale presunzione, tuttavia, è inoperante quando la tolleranza si colleghi a un rapporto di parentela tra i soggetti interessati, giacché lo stretto legame familiare consente al dominus di esimersi dalla necessità di rivendicare periodicamente la piena titolarità della res nei confronti del parente beneficiario del godimento del bene. Il protrarsi nel tempo di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, può, dunque, integrare un elemento presuntivo di esclusione della tolleranza solo nei rapporti labili e mutevoli, ma non nei casi di vincoli di stretta parentela, nei quali è plausibile il mantenimento di un atteggiamento tollerante anche per un lungo arco di tempo".[2]
Detto ciò, allora, nell'ambito di un rapporto di amicizia, la concretizzazione di atti da parte del comodatario come proprietario saranno tollerati per meno tempo perciò se protratti sottendono il disinteresse dell'avente titolo. Al contrario, tra genitori e figli la tolleranza può perdurare oltre vent'anni.
Dunque, per rispondere alla domanda oggetto del titolo dell'articolo, possiamo affermare che è possibile ritenere che il figlio utilizzatore dell'immobile del genitore, (detentore qualificato in forza di comodato d'uso abitativo), può compiere atti che si presumono compiuti in tolleranza del reale proprietario, ma… tale presunzione può essere nel caso concreto superata attraverso prova rigorosa del mutamento dell'animus.
L'usucapibilità o meno di un bene del genitore, dato in comodato, non è da escludere, perché se sussistano circostanze fattuali potenti atte a superare la presunzione, (un rapporto conflittuale perdurante, la ristrutturazione e rinnovazione dell'immobile senza domandare consenso al genitore, la realizzazione di nuove opere, il cambio di destinazione d'uso delle stesse, la realizzazione di lavori ordinari o straordinari senza la richiesta di restituzione delle somme) queste, possono essere sufficienti a provare l'interversione del possesso, trattandosi di tipiche condotte del proprietario.
[1] Cass. civ. n. 9275/2018
[2] Cassazione Civ. sez. II, n. 20508/2019