Violazione di domicilio e titolarità dello jus excludendi

12.10.2024

Cass. Pen, Sez. V, 24 maggio 2024, n. 20742

Scarica la sentenza qui:

Con sentenza del 24 maggio 2024 la n. 20742, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione V, è intervenuta al fine di chiarire la configurabilità del reato di cui all'art 614 c.p. – violazione di domicilio – nel caso in cui viene meno la cessazione del rapporto di convivenza.

"In tema di configurabilità del reato di violazione di domicilio, tutti i conviventi (i membri della famiglia e gli stessi ospiti) sono titolari dello jus prohibendi, per cui il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all'inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia per il solo fatto della convivenza. La cessazione della volontà di coabitare da parte di chi è titolare del diritto sull'appartamento fa dunque scattare, come nel caso di specie, il reato".

Ebbene, l'oggetto dell'impugnazione è l'ordinanza con la quale il Tribunale di Sassari, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha applicato a Vi.Ri. e a Fa.Ga. la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, in quanto ritenuti gravemente indiziati del delitto di cui all'art. 614, secondo comma, cod. pen. (perché si sarebbero trattenuti nell'abitazione di Pa.Ga., che li aveva in precedenza ospitati, contro l'espressa volontà del medesimo, titolare dello ius excludendi); delitto in relazione al quale, attesa l'esplicita volontà in tal senso manifestata dalle parti, sussisterebbe il concreto e attuale pericolo di reiterazione.

Ricorrono per cassazione gli indagati articolando un unico motivo d'impugnazione, formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione agli artt. 280 e 282-bis cod. proc. pen. e 614 cod. pen.), a mezzo del quale deducono l'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato contestato e l'inapplicabilità della misura adottata.

In questa situazione, la difesa sosteneva che il reato contestato agli assistiti è un reato impossibile, in quanto il domicilio in ipotesi violato sarebbe anche quello proprio e rispetto a tale assunto diverrebbe del tutto irrilevante la mancata autorizzazione del soggetto titolare dello jus prohibendi.

In dipendenza di ciò, il ragionamento seguito dai Giudici di piazza Cavuor si pone in antonimia con quello, invece, sostenuto dalla difesa. Ragion per cui non è sufficiente il diritto di proprietà vantato sul bene o un rapporto di convivenza precedentemente instaurato, al punto che ne derivava il trasferimento – in quell'abitazione - della residenza a determinare l'esercizio dello jus excludendi.

Al contrario, deve sussistere – necessariamente - l'esistenza di una situazione di fatto, reale ed attuale, che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità.

Difatti, se tale presupposto viene meno a causa dell'interruzione di una convivenza more uxorio, il soggetto che abbandona "la casa familiare" gli viene esclusa la possibilità che possa legittimamente esercitare uno jus prohibendi nei confronti dei componenti del nucleo familiare che continuano a permanere nell'abitazione.

Né vale a detrimento sostenere che si è comproprietari nella misura del 50% dell'immobile e, in conseguenza di ciò, fare ingresso all'interno dello stesso senza il consenso di chi invece continua ad abitarlo. Perché il bene giuridico sotteso alla norma di cui all'art 614 c.p. si specifica nel diritto alla libertà domiciliare, ovvero nel diritto alla pace interiore e alla libertà domestica che viene individua nel domicilio la sua proiezione spaziale.

Motivo per il quale, la disposizione tutela le intrusioni nell'abitazione e in "altri luoghi di privata dimora" (concetto di difficile perimetrazione e precisato dalla Cass, Sez. Unite con sent. N. 31345/2017)

Alla luce di ciò, è palamare che la sopravvenuta cessazione del presupposto fondante il diritto a permanere nella "casa familiare" legittima l'esercizio dello jus prohibendi da parte del residuo titolare di tale potere e , infatti, il soggetto che abbandona il nucleo familiare, risulterà terzo estraneo all'interno della dimora ove fino a quel momento aveva instaurato una stabile relazione familiare.

Ciò posto, quindi, risulta necessario una manifestazione espressa ed esplicita da parte del titolare dello jus excludendi, al fine di evitare la consumazione del reato in esame.

Da ultimo, vengono in rilievo le forme di manifestazione del dissenso – anche tacito - all'introduzione ovvero al trattenimento nell'abitazione altrui, tra cui: gesti inequivocabilmente orientati all'esclusione.

Dunque, in un'epoca di violenze non solo fisiche ma anche psicologiche all'interno delle mura domestiche, l'inter logico seguito dagli Ermellini figura da monito in relazione a qualsiasi condotta in grado di minacciare l'incolumità, non solo fisica, della persona (Sez. 6, n. 17950 del 17/09/2015, dep. 2016, A., Rv. 266726, ben potendo le condotte manifestarsi in forme di violenza psicologica o morale, ugualmente idonee a cagionare una sofferenza, anche solo psicologica, alla vittima: Sez. U. n. 10959 del 16 marzo 2016, Colzani, Rv. 265894).

Avv. Sara Spanò