Erronea somministrazione dei farmaci: secondo round

09.12.2023

Cass.Pen., Sez.III, 12 Ottobre 2022, n.38354 

La pronuncia in commento ha ad oggetto la sanità ed è relativa ad un caso di erronea somministrazione di farmaci.

Si potrebbe dire essere un vero e proprio secondo round quello che gli ermellini si sono trovati ad affrontare; soprattutto perché sul caso di specie la sez. IV della Suprema Corte si era già pronunciata nel 2019 con la sentenza n.20270.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa è accaduto.

Un paziente in cura presso un nosocomio palermitano era affetto da Linfoma di Hodgkin e il suo trattamento chemioterapico, come si evince dal testo della sentenza, prevedeva la somministrazione del farmaco Vinbalstina nella misura di 9 mg; tuttavia, la situazione, a causa di un errore nel quantitativo del farmaco somministrato (90 mg anziché 9), ha causato un'intossicazione sistemica che ha cagionato un arresto cardiaco rivelatosi poi fatale.

Ma come è possibile che da 9 mg di farmaco, il paziente abbia ricevuto un dosaggio di 90 mg?

Ebbene è stato frutto di un grave errore di annotazione riportato nella cartella clinica del paziente relativo al primo ciclo di chemioterapia.

L'errore in questione ha aperto le porte delle aule di giustizia per tutta l'equipe medica del presidio ospedaliero di Palermo, in quanto, il medico specializzando in oncologia, reo dell'errore di annotazione aveva anche falsificato la cartella clinica, attribuendo poi l'errore ad uno studente di medicina; l'oncologo non aveva rilevato l'errore convalidando la prescrizione; il primario del reparto non aveva supervisionato in modo adeguato il proprio reparto venendo meno al suo compito; ed infine, l'infermiera che aveva preparato il farmaco e che aveva rilevato delle anomalie sia nel quantitativo sia nelle modalità di infusione finendo con il chiedere chiarimenti al reparto.

Tutta l'equipe medica è stata condannata ai sensi dell'art.589 c.p., sia in primo grado che in secondo, giungendo poi in Cassazione.

Il 13 maggio 2019, con la Sentenza n.20270, la IV sezione della Corte di Cassazione, ha ritenuto di annullare la condanna dell'infermiera poiché la sua condotta poteva essere reputata prudente, ma soprattutto corretta, non prevaricando i medici competenti e non andando oltre le proprie competenze sanitarie.

L'aspetto, per la Corte, maggiormente intrigato per cui sussisteva la necessità di compiere una verifica, era di stabilire se in capo all'infermiera ci fosse l'obbligo di confrontarsi solo con medici specializzati.

In seguito alla revisione dei fatti compiuta dalla Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza in esame, è stata confermata l'assenza di normative o linee guida che imponessero tale obbligo per l'infermiera.

In particolare, infatti, è risultato che non solo l'infermiera si era prodigata due volte per ottenere una conferma in merito alla terapia e alle modalità di somministrazione, ma che addirittura, aveva ottenuto il consenso di un medico che nel presidio era un vero e proprio punto di riferimento.

Nella stessa sentenza, è stato sciolto il nodo relativo anche alla posizione del medico specializzando, sul quale, però, la Cassazione ha confermato il proprio orientamento ritenendolo responsabile in quanto, vista la sua qualifica di medico specializzando, era tenuto a seguire le direttive del suo "tutor", e a rifiutarsi di effettuare pratiche per la sua preparazione troppo complesse.

Allo stesso modo, la Cassazione ha affermato la responsabilità del primario, poiché, in quanto tale, avrebbe dovuto supervisionare il reparto, sapendo che il paziente era affidato alle cure di specializzandi.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha assolto l'infermiera, ha confermato la condanna del medico specializzando e del primario e ha cassato senza rinvio la sentenza di condanna per il medico oncologo nella sola parte in cui si applicava l'interdizione dalla professione. 

Dott.ssa Martina Carosi