Il Codice Rosa
Nel 2010, nell'Azienda USL 9 di Grosseto, nasce il c.d. "Codice Rosa", un progetto ambizioso che aveva, e che tutt'ora ha, lo scopo di garantire un coordinamento più efficace ed efficiente tra tutte le varie istituzioni, in modo da fornire una risposta immediata fin dall'arrivo della donna vittima di violenza all'interno del Pronto Soccorso.
Di per sé è un punto di accesso preferenziale per le vittime di violenza, siano esse donne, bambini e persone discriminate, ma è necessario compiere una differenziazione, in quanto se la vittima è una donna che ha subito, quindi, violenza di genere, il percorso prenderà il nome di "Percorso Donna", mentre per coloro che subiscono violenza per vulnerabilità o discriminazione, si chiamerà "Percorso per le vittime di crimini d'odio".
Il predetto percorso, ad oggi attivo in tutto il territorio nazionale e a prescindere se si arriva in area di emergenza o di degenza ordinaria, non opera singolarmente, infatti, come inizialmente anticipato, esso si trova ad essere a stretto contatto con la rete territoriale dei centri anti-violenza garantendo in tale modo una maggiore tempestività d'intervento nei riguardi della vittima.
A tal proposito, infatti, con il DPCM del 24 novembre 2017, presso le Aziende Sanitarie e le Aziende ospedaliere sono in vigore le linee guida chiamate "Percorso per le donne che subiscono violenza" prevedenti numerosi altri servizi, oltre alla presa in carico delle vittime di violenza, come programmi di mediazione linguistica e culturale, la tutela della disabilità e, come si vedrà più avanti, la possibilità di restare in struttura fino alla messa in sicurezza.
Da un punto di vista operativo, nel momento in cui la vittima giunge al Pronto Soccorso o presso le ASL, è necessario accoglierla con il codice rosa, all'interno di un luogo adeguato in modo da eseguire velocemente una visita medica (indicativamente si parla di 20 min al max), anche se il codice relativo alle lesione da ella riportato non siano gravi a tal punto da farle ottenere un codice rosso.
Il personale medico, previo consenso della vittima, potrebbe anche scattare delle fotografie, raccogliere campioni, contattare il centro anti-violenza, o le forze dell'ordine per sporgere formale denuncia querela.
Laddove venisse riscontrato un elevato rischio per la sicurezza della vittima, grazie alle risposte che lei stessa fornisce durante la compilazione di un questionario, la stessa viene presa in carico dal centro anti-violenza o dallo stesso ospedale che provvede a tenerla in sicurezza per almeno 72 ore entro le quali è lei a decidere se entrare in contatto con gli assistenti sociali o tornare a casa.
Ipotesi da dover, naturalmente, contemplare all'interno del nostro discorso, è quella per cui la vittima di violenza di genere si presenti al Pronto Soccorso con i figli minori, papabili vittime di violenza assistita. Nel caso appena prospettato, gli operatori sanitari sono tenuti a lasciar stare i figli in compagnia della mamma.
Durante lo scorso anno, il Ministero della Salute, ha verificato lo stato di attuazione delle predette linee guida tramite un questionario somministrato ad almeno l'80% delle strutture interessate.
I risultati hanno presentato la seguente criticità: nelle strutture sono presenti fisicamente ancora pochi mediatori linguistico-culturali, l'impossibilità di operare una presa in carico 24 ore su 24 e la difficoltà di supportare le donne vittime di violenza con disabilità.