
Sulla compatibilità tra il tentativo e i reati di pericolo
A cura di Dott. Marco Misiti
Si è soliti affermare che il tentativo non è compatibile con i reati di pericolo. Tuttavia, la prassi giurisprudenziale rileva come non sempre questa affermazione sia corretta, ma anzi suscettibile di eccezioni. Il presente contributo, ricostruito brevemente l'istituto del tentativo e le sue caratteristiche, si sofferma su alcune di queste casistiche individuate dalla giurisprudenza.
Nonostante la formulazione lineare dell'art. 56 c.p., l'applicazione del tentativo ai vari istituti del diritto penale ha generato innumerevoli quesiti, alcuni dei quali ancora non concordemente risolti. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla compatibilità della citata norma con il dolo eventuale, annosa questione che vede ormai la maggior parte della dottrina sposare la tesi positiva e, contrariamente, la giurisprudenza mantenere una posizione conservatrice. Alcuni punti fermi rispetto a tali quesiti sono stati però raggiunti.
Trattasi di una ipotesi di anticipazione della soglia di punibilità, in quanto consente di ritenere punibile una condotta pur in assenza di tutti gli elementi necessari per il perfezionamento di un reato. Inoltre, risulta ormai superata la vecchia distinzione tra atti preparatori ed esecutivi, propri del Codice Zanardelli, rilevando in tal senso esclusivamente l'idoneità degli atti e la loro non equivocità, come previsti nel Codice Rocco. In quanto forma anticipata di punibilità, il tentativo costituisce una ipotesi di reato di pericolo concreto. Ancora, per espressa previsione normativa non sono punibili forme tentate di contravvenzioni. Infine, in assenza di espressa previsione normativa, non è punibile un tentativo di delitto colposo, in ragione dell'art. 42, comma 2, c.p.
Nella manualistica di diritto penale sostanziale si è soliti trovare l'affermazione secondo la quale il tentativo è incompatibile con i reati di pericolo. La ragione di questa inconciliabilità risiederebbe nella circostanza che il tentativo di un reato di pericolo andrebbe a punire la produzione di un pericolo di pericolo. In altri termini, si finirebbe per punire delle condotte prive di offensività, con conseguente violazione del noto brocardo nullum crimen, nulla poena sine iniuria.
In realtà, questa affermazione pare tutt'altro che pacifica nell'applicazione giurisprudenziale. Invero, risale al 1995 una pronuncia della Corte di cassazione[1], relativamente a una ipotesi di falso ideologico di cui all'art. 479 c.p., nella quale si legge che «sulla traccia di un orientamento dottrinale che ha trovato accoglimento in qualche decisione di questa Corte, anche nei c.d. reati di pericolo è configurabile il tentativo, essendo ben possibili atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare un pericolo che invece non sorge».
La giurisprudenza successiva[2] ha riaffermato tale compatibilità anche con riferimento al reato di incendio di cui all'art. 423 c.p., sebbene effettuando una distinzione tra il reato di incendio di cosa altrui e quello di cosa propria: la compatibilità sussiste con riferimento alla ipotesi di cui al comma 1, e non invece con quella di cui al comma 2, poiché altrimenti «si anticiperebbe irrazionalmente la soglia di punibilità, reprimendo il pericolo di un pericolo».
Una ulteriore ipotesi in cui la giurisprudenza ha ammesso il tentativo di un reato di pericolo attiene al delitto di cui all'art. 517 c.p., nella sua formulazione anteriore alla modifica intervenuta con l'art. 52 della legge 23 dicembre 2023, n. 206. Quest'ultima disposizione ha annoverato come condotta punibile anche quella di mera detenzione finalizzata alla vendita. Prima della novella normativa la giurisprudenza si interrogava proprio sulla rilevanza penale della mera detenzione.
Ed è proprio affrontando un caso di prodotti industriali con segni mendaci che la Corte di cassazione[3] ha negato l'incompatibilità in termini assoluti tra reati di pericolo e tentativo. L'unico criterio da seguire per risolvere la questione, secondo la Suprema Corte, è quello della incompatibilità ontologica della struttura del reato con il tentativo, «incompatibilità che non si può logicamente ravvisare per i reati di pericolo in quanto tali, perché - come già accennato - è ben possibile compiere atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare un pericolo che poi, per ragioni contingenti, non insorge».
Che non si tratti di un orientamento ormai vetusto è, del resto, dimostrato da una recente sentenza[4] che, nuovamente interrogandosi sul reato di incendio e del rapporto con la fattispecie di cui all'art. 424 c.p., ha ritenuto applicabile l'art. 56 c.p. alla fattispecie di cui all'art. 423 c.p. «nel caso di fuoco domato sul nascere laddove vi sia pericolo concreto del divampare delle fiamme in vaste proporzioni con pericolo per l'incolumità di un numero indeterminato di persone». Del resto, giurisprudenza ancor più recente, nell'affrontare il momento consumativo della fattispecie di importazione di sostanza stupefacente e del discrimen con il tentativo, ha dato per scontato la sua ammissibilità[5].
Dall'analisi della giurisprudenza da ultimo menzionata sembrerebbe desumersi che solo alcuni tipi reati di pericolo siano effettivamente compatibili con il tentativo. Infatti, parrebbe che lo stesso sia applicabile alle sole ipotesi di reato di pericolo astratto/presunto, non invece a quelle di pericolo concreto. Tale distinzione, come si legge in alcuni commenti di dottrina, troverebbe fondamento nella circostanza che, per i reati di pericolo concreto, l'ammissione del tentativo «comporterebbe la rilevanza del "pericolo di un pericolo" (e, cioè, in pratica, di un "non pericolo")». Al contrario, può esserne predicata l'ammissibilità con riferimento ai reati di pericolo presunto poiché «la situazione di rischio racchiude spesso, in sé, elementi di danno» e «perché nulla esclude che l'interesse ad impedire tale situazione si spinga sino al compimento di atti univocamente idonei a produrla[6]».
Tale impostazione parrebbe, tuttavia, creare delle frizioni di sistema qualora si immagini una scala di crescente di offensività dell'offesa. Infatti, il pericolo astratto si collocherebbe in una posizione anticipata rispetto al pericolo concreto. Pertanto, il tentativo di un pericolo astratto/presunto finirebbe per essere una anticipazione della punibilità ben maggiore rispetto al tentativo di pericolo concreto[7].
Parte della giurisprudenza menzionata ha fatto invece riferimento al criterio casistico, ossia rimesso alla valutazione in concreto della costruzione della singola ipotesi di reato. Tale criterio, tuttavia, è passibile di critica laddove risulta altamente opinabile, subordinato sostanzialmente alla discrezionalità del giudice.
Allo stato attuale, pertanto, non è possibile individuare un criterio unanime per risolvere il quesito concernente l'ammissibilità del tentativo di un reato di pericolo, fattasi eccezione per – poche – fattispecie rispetto alle quali la giurisprudenza sembra ormai consolidata in senso positivo.
[1] Così Cass. Pen., Sez. VI, 19 aprile 1995, n. 4169.
[2] Cass. Pen., Sez. I, 19 febbraio 1998, n. 6392. Si veda altresì Cass. Pen., Sez. VI, 24 settembre 1996, n. 8656, con riferimento a una ipotesi di favoreggiamento personale tentato.
[3] Cass. Pen., Sez. III, 15 gennaio 2008, n. 2003.
[4] Cass. Pen., Sez. III, 3 agosto 2021, n. 30265.
[5] Si veda Cass. Pen., Sez. VI, 21 ottobre 2022, n. 40044, in Cass. Pen., n. 6/2023, 1858 ss., con nota di G. Ceccacci, Consumazione del delitto di importazione di stupefacenti e punibilità a titolo di tentativo, 1868 ss., che non a caso afferma in nota che «pur dando per acquisita la configurabilità del delitto di importazione di stupefacenti in forma tentata, non si può infatti evitare di rammentare che, in linea teorica, la medesima è discussa con riferimento ai delitti di pericolo in
genere».
[6] T. Padovani, Diritto penale, Milano 2023, 340.
[7] In senso sostanzialmente conforme, ponendo la questione sul piano dell'offensività e verificabilità processionale che sono richieste per la punibilità, E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, Bologna, 2023, 518, secondo il quale «più controversa, peraltro, potrebbe apparire l'esclusione del tentativo nei reati di pericolo concreto, i quali, essendo comunque tipologie di illeciti penali che richiedono la verificazione di un evento, sia pure solo come semplice creazione di una situazione di rischio in concreto per i beni tutelati, potrebbero lasciar residuare un margine logico di praticabilità del tentativo».