
Il tortuoso percorso dei patti prematrimoniali: analisi delle principali problematiche e possibili sviluppi
Con il termine patti prematrimoniali si fa riferimento a tutte le pattuizioni intervenute tra i nubendi, preventivamente all'unione matrimoniale, e volte a disciplinare i rapporti patrimoniali tra coniugi per il caso in cui intervenga una crisi di coppia.
Tale istituto, di matrice anglosassone, non è mai stato assimilato dal nostro ordinamento pur suscitando un forte interesse alimentato dal dibattito che ha coinvolto dottrina e giurisprudenza.
Questa attenzione si è rinnovata per via della diffusione di tali accordi in ordinamenti affini al nostro, ad esempio la Germania, superando quindi l'esclusività di tale istituto propria degli ordinamenti di common law.
Comprendere le ragioni dell'ostilità legislativa e ordinamentale interna rispetto a tale istituto, presuppone un'analisi articolata del sistema normativo italiano.
Occorre, preliminarmente, dar conto dell'evoluzione giuridica che ha interessato il diritto di famiglia e che ha inciso sugli orientamenti legislativi, dottrinali e giurisprudenziali. Si è, infatti, assistito ad un mutamento di prospettiva passando da un'idea di famiglia quale unità fondamentale della società, centro di interessi prevalenti su quelli dei singoli componenti (concezione pubblicistica) ad una visione, nata in occasione della grande riforma del diritto di famiglia del 1975, volta a far emergere le istanze dei suoi membri i cui diritti sono stati riconosciuti meritevoli di tutela e posti a bilanciamento dell'interesse familiare (concezione privatistica).
Questa evoluzione ha comportato il riconoscimento di un maggior spazio all'autonomia privata nel menage familiare fino a giungere ad una vera e propria privatizzazione di tale rapporto pur permanendo, tuttavia, alcuni limiti.
Parlare di patti prematrimoniali, quindi, significa comprendere se v'è uno spazio (e con quali limiti) per la contrattazione tra coniugi nel contesto della crisi familiare.
Bisogna , tuttavia, operare una distinzione tra il caso in cui l'accordo intervenga quando la disgregazione della relazione sia già in atto, da quello in cui tale crisi sia solo eventuale e futura.
Nel primo caso all'autonomia privata è riconosciuto un ampio spazio di manovra in virtù della disponibilità degli interessi patrimoniali che vengono in rilievo.
Questo si manifesta, per esempio, in occasione della separazione consensuale con l'accordo sul mantenimento ovvero in caso di divorzio con l'assegno divorzile.
Questo vale tanto per quel riguarda il quantum che per la modalità di tale sostegno economico, entrambi profili che possono essere oggetto di accordo.
Resta tuttavia preclusa la possibilità di definire i rapporti economici tra coniugi mediante un accordo intervenuto in sede di separazione e valido anche per il divorzio e ciò in quanto i diritti discendenti da quest'ultimo sono, al momento della separazione, indisponibili.
Passando alle pattuizioni intervenute prima della crisi e addirittura prima dell'unione matrimoniale, invece, esse sono state foriere di vivaci dibattiti.
La giurisprudenza ha assunto e mantenuto nel tempo una rigida opposizione alla ammissibilità di patti di tal genere sostanzialmente rinvenendo in essi un'ipotesi di nullità assoluta per diverse ragioni (1). Dapprima, infatti, si è sostenuto che essi incidessero sulla libertà del singolo coniuge in relazione all'esercizio dei diritti nel corso della crisi matrimoniale: in altri termini si riteneva che la "minaccia" di un mutamento dell'assetto patrimoniale tra coniugi fosse tale da neutralizzare l'esercizio di un legittimo diritto (ad esempio nel formulare la domanda di separazione o divorzio) e che ciò portasse ad una mercificazione dello status familiare (2).
Successivamente è stato sostenuto che i patti prematrimoniali violassero l'art. 160 c.c.:3 tale disposizione sancendo l'inderogabiltà dei diritti nascenti dal matrimonio finirebbe per richiamare indirettamente l'art. 143 c.c. che disciplina i diritti e i doveri coniugali e anche l'obbligo di contribuzione economica al menage familiare.
Dunque tali patti sarebbero nulli poiché, derogando agli obblighi così definiti, impedirebbero l'operatività e la permanenza di tali norme valevoli, secondo la giurisprudenza, anche nella fase della crisi.
La dottrina, a sua volta, ha cercato di superare tale orientamento argomentando a contrario le ragioni sostenute in più occasioni dalla Cassazione (4).
Si è rilevato in tal senso che non vi sia alcuna nullità perché, da un lato, tali accordi lascerebbero intatta la libertà del singolo di far valere i propri diritti: non sarebbe, quindi, rinvenibile alcuna compressione poiché si andrebbero solamente a regolare i rapporti patrimoniali futuri lasciando spazio all'iniziativa del singolo.
D'altra parte nemmeno vi sarebbe la violazione degli artt. 143 e 160 c.c. in quanto i diritti patrimoniali sottesi all'assegno di mantenimento e divorzile nella loro competente compensativa-perequativa, e non anche alimentare, sarebbero disponibili e già possibili oggetto di negoziazione in vista della crisi coniugale come peraltro sostenuto dalla stessa giurisprudenza.
Una svolta, per quanto isolata, nell'orientamento della Cassazione si è avuta con due pronunce. Con la prima i giudici di legittimità hanno ammesso la liceità di una pattuizione intervenuta tra coniugi prima della celebrazione delle nozze e avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro qualora fosse intervenuto lo scioglimento del matrimonio. In tal caso la somma rappresentava il corrispettivo dovuto al marito per i lavori di ristrutturazione svolti sull'immobile della moglie(5).
A ben vedere tale pronuncia opera una riqualificazione della fattispecie ritenendo il divorzio una mera condizione sospensiva e non anche la causa dell'accordo intervenuto tra i coniugi che, dunque, rimaneva perfettamente lecito.
Altrettanto interessante è una pronuncia del 2013 con la quale si è ammessa la pattuizione anteriore al matrimonio e volta a far ottenere la restituzione, in occasione dello scioglimento del vincolo, di una somma mutuata da un coniuge all'altro. Anche in tal caso si è ritenuto che l'accordo fosse lecito e ciò in quanto non veniva in alcun modo limitata la libertà del singolo coniuge6.
Entrambe le pronunce sono apprezzabili nella misura in cui, pur non introducendo i patti prematrimoniali, riconoscono un certo margine all'autonomia privata anche in vista della eventuale crisi coniugale. Orientamento ribadito in una recente pronuncia della Cassazione7.
Occorre tuttavia aggiungere che, pur ritenendosi superati gli ostacoli tradizionali volti ad escludere l'ammissibilità dei patti prematrimoniali, resta un ultimo punto che concerne la derogabilità o meno del principio rebus sic stantibus.
In forza di tale principio le pattuizioni tra privati possono essere soggette ad una modificabilità condizionata al sopravvenire di mutamenti fattuali. A ciò, come è noto, si può derogare ma solo entro certi rigidi limiti.
Comprendere quindi se, nel caso di specie, il principio de quo sia derogabile diventa fondamentale perché, se non lo fosse, le pattuizioni intervenute prima della unione matrimoniale diverrebbero sostanzialmente inutili posto che esse sono finalizzate a cristallizzare in modo definitivo ed ex ante i rapporti patrimoniali futuri tra coniugi.
In conclusione può dirsi che siano stati riconosciuti certamente spazi e margini più ampi all'autonomia privata nel contesto della crisi familiare, pur non avendo ciò portato alla piena ammissibilità dei patti prematrimoniali nel nostro ordinamento.
Siamo di fronte, dunque, ad un passo in avanti significativo che, tuttavia, risulta ancora limitato nella sua portata innovativa per la presenza di ostacoli, forse difficilmente superabili, quali la possibilità di derogare alla clausola rebus sic stantibus questione su cui va svolta, ad opinione di chi scrive, una seria e approfondita riflessione.
Avv. Michele Zabeo